giovedì 24 febbraio 2011

Un progetto per la città dove vivo: incontro col Sindaco

Ho detto che volevo raccontare qui il progetto che sto cercando di realizzare nel posto dove vivo e lavoro, spiegando le idee, le varie tappe e, eventualmente, i risultati ottenuti. Bene, siamo alla prima tappa. Nei giorni scorsi ho incontrato alcune persone e addetti ai lavori, tra i quali specialisti di marketing e Web (come Gianluca Diegoli), responsabili di spicco delle attività e componenti di enti, associazioni e fondazioni. Ho parlato loro delle mie idee, ossia del tentativo di "pensare" un nuovo modo di utilizzare le tecnologie e gli spazi per favorire i ragazzi di oggi e i cittadini di domani. Ho sentito le loro critiche, sempre costruttive, e i loro apprezzamenti. Le parole chiave sono due: Wi-Fi e Coworking. Ne saprete di più a breve.

Le discussioni che ho fatto sono state tutte molto positive e ricche di spunti. Ieri sera, per esempio, ho parlato un'ora con una persona di una vitalità intellettiva e di un entusiasmo rari, soprattutto da queste parti. Un professionista di una generazione precedente alla mia, non un ragazzino, che mi ha colpito per essere un vero e proprio vulcano di idee innovative. Da un progetto ne sono nati tre, in 50 minuti di caffè e brainstorming spontaneo. Questo mi ha spinto ad andarne a parlare col Sindaco di Mirandola, ossia la città dove vivo. Nonostante il mio tradizionale scetticismo sulla ricettività degli enti pubblici nei confronti di questo tipo di idee, maturata avendoci lavorato dentro in passato, l'incontro è andato sostanzialmente bene. Ho saputo di progetti che, in parte, hanno gli stessi obiettivi del mio e ho avuto indicazioni precise di persone con cui parlarne. In più, ho avuto modo di spiegare direttamente al responsabile dell'Amministrazione comunale i pregi e i difetti che vedo nella città. Ovviamente, niente di così concreto ma neanche me lo aspettavo. Negli anni, sto imparando a essere un "sognatore pragmatico".

Nei prossimi giorni ho in programma altri incontri, per un'idea che esula abbastanza dal lavoro che faccio. Come ho detto, questi progetti non mi porteranno un euro in conto corrente. Ma non importa. Voglio provare a proporre idee mie, a creare un qualcosa che sia utile per altre persone con costi molto bassi. Voglio tastare con mano l'entusiasmo della gente, invece di ascoltare le solite critiche, i soliti sfoghi e i soliti "ah, come si stava bene trent'anni fa". Perché trent'anni fa si sentivano le stesse identiche parole ma c'era gente che, nonostante tutto, ha posto le basi per il suo futuro. Ossia il nostro presente.

martedì 22 febbraio 2011

Professionisti e aziende, prove di avvicinamento

Creare un momento di incontro efficace tra consulenti, come me, e imprese è sempre una cosa complessa da gestire. Perché quelli che nascono spontaneamente (a una fiera o a un convegno) spesso sono caratterizzati da una certa mancanza di tempo e di possibilità di approfondire certi discorsi, perché, di fatto, si deve fare altro. Quelli che vengono organizzati volontariamente, le riunioni e gli incontri, hanno spesso il difetto di essere incentrati sulle specifiche necessità del momento, senza prevedere quelle riflessioni ad ampio raggio che generano idee molto interessanti. Ieri sera ho voluto sperimentare un nuovo modo di "vivere" questi momenti di incontro. Il Corriere della sera, CNA Modena e il sito Trovolavoro.it hanno infatti organizzato una serata che offriva a un limitato numero di aziende l’occasione di incontrarsi con professionisti esperti in ambito commerciale e di marketing. Una cena, anticipata da una presentazione di Dario Di Vico e di Cristina Mariani (un'amica, oltre che una collega), con tavoli che vedevano, fianco a fianco, imprenditori e consulenti. Qualcuno la definirebbe "uno scambio di curriculum" ma a me l'idea incuriosiva. Come è andata?

L'iniziativa in sé ha avuto, a mio parere, un buon equilibrio tra pregi e cose da migliorare. Iniziamo coi pro. Quaranta aziende e sessanta professionisti, tutti riuniti per un semplice motivo, ossia conoscersi reciprocamente. Non è una cosa banale. Non capita spesso di avere la possibilità di parlare, confrontarsi e discutere con tanti colleghi e responsabili aziendali, ognuno con le rispettive esperienze e competenze. In più, si è avuto modo di parlare di marketing con chi non è un "addetto ai lavori". Mi capita spesso di partecipare a eventi e conferenze con esperti con cui condivido, oltre a idee e progetti, anche lo stesso gergo, lo stesso modo di pensare, gli stessi obiettivi. Ma il mondo, là fuori, non comunica così e spesso ce ne dimentichiamo. Per questo, avere di fronte un responsabile di un'azienda di elettronica o di meccanica a una cena ti offre l'opportunità di capire il suo punto di vista in modo professionale ma con la sufficiente tranquillità, generando spesso riflessioni molto interessanti.

Ora veniamo alle cose da migliorare. Il "chi siede dove" è stato deciso dagli organizzatori: a me è toccato un tavolo con cinque consulenti e un solo responsabile aziendale. Una situazione certamente molto favorevole per l'impresa (al di là del rischio concreto di essere il trofeo del "tiro della giacchetta"), molto meno per noi. La discussione è stata molto piacevole ma esclusivamente per il fatto che le persone l'hanno fatta diventare tale. Perché non prevedere un cambiamento delle disposizioni in base ai presenti effettivi? O perché non organizzare un buffet e prevedere un "giro dei tavoli" dei consulenti? I tavoli erano, di fatto, aree isolate le une dalle altre, ognuno con le sue specifiche battute di caccia. Un altro punto "migliorabile" è la partecipazione attiva dei responsabili delle aziende. Durante le presentazioni iniziali, è stato chiesto ai presenti di esprimere i propri punti di vista sui temi toccati: sono intervenuti esclusivamente i professionisti, mai i responsabili aziendali (con un'unica eccezione). Come mai? Sono venuti a un evento con finalità chiare ed evidenti, avendo la possibilità di esprimere giudizi, pareri, critiche o altro. Poteva essere un momento molto interessante, non lo hanno fatto diventare tale.

Comunque, tornerei a un evento del genere. Perché qualcosa ti lascia, di positivo o di negativo, di contatti e di conoscenze. Sono sempre cose utili. In più, si vedono all'opera molte persone che fanno, più o meno, il tuo lavoro, non capita spesso. Sicuramente, il "tuttologo" è una categoria sempre molto rappresentata. E questo fatto ci penalizza molto. Abbiamo tutti diverse competenze, esperienze, specificità: perché non valorizzarle invece di metterci a disquisire di massimi sistemi che dimostriamo, dopo cinque secondi, di non conoscere (iniziando spericolate arrampicate sui vetri)? Non potremo mai essere bravi in tutto ma, così facendo, dimostriamo di essere bravi in nulla. Ci conviene davvero? Sì, lo so, tutti teniamo famiglia ma vendere fumo non ci darà alcuna garanzia in merito. Per avere prospettive, ci sono altre filosofie molto più efficaci. Come diceva qualcuno, a ciascuno il suo mestiere. 

venerdì 18 febbraio 2011

Non è un paese per giovani che pensano come vecchi

Ho già scritto un "elogio della giovinezza in azienda" ed è un tema che mi sta molto a cuore. Perché solo i Paesi che credono nei giovani investono davvero sul proprio futuro. L'argomento è tornato prepotentemente nella mia attualità professionale dopo un incontro fatto in un'azienda, dove si parlava di comunicazione interna, e dopo una bella discussione su Facebook.

Partiamo dalla riunione. Alla fine dell'incontro, c'è stata un'accesa discussione sulle cose da fare e da pianificare, cosa buona e giusta. Il problema non è il "volume" delle parole ma il loro significato profondo. A un certo punto ci si è arenati perché, nello sviluppo di un progetto del tutto nuovo, non si voleva andare oltre al concetto di "organigramma". Quella è "la struttura", una cosa concepita, conosciuta e vissuta tutti i giorni, non era possibile andare oltre valutando altre soluzioni senza voler scardinare un intero modo di intendere la vita aziendale. Una scelta del tutto ideologica. Partire dalle esigenze del dipendente e non da quelle dei vari settori sembrava un concetto troppo rivoluzionario, anche solo da discutere.

Le maggiori resistenze le hanno fatte due persone. Il primo a fare obiezioni sulle proposte di rinnovamento del concetto di comunicazione interna (ossia comunicazione bidirezionale, e non solo top-down) è stato un dirigente con decenni di esperienza in azienda. Non concepiva il fatto che le informazioni potessero essere generate anche dai dipendenti, tutto doveva passare per la dirigenza. In più, esprimeva scetticismo anche su molte soluzioni che fanno parte integrante di una Intranet (e di un'azienda) dei nostri tempi, ossia pagine wiki, blog interno e forum. Questo non mi ha sorpreso più di tanto, anche se ci sono ultrasessantenni che capiscono perfettamente che il mondo è cambiato e che imparare cose nuove conviene pure a loro. Quello che mi ha colpito è stata la reazione, sulla stessa linea, di una ragazza della mia generazione. Stesse obiezioni, stesso modo di pensare, stesso scetticismo del dirigente. Non era una semplice presa di posizione di tipo gerarchico (mi allineo al punto di vista del mio capo), era evidente che credeva in quello che diceva. Senza alcuna scusante generazionale. Perché?

Se vivi in un sistema vecchio con categorie vecchie, inevitabilmente sei portato a pensare in modo vecchio. Anche se hai 25 anni. Chi ti forma, i tuoi punti di riferimento, sono persone di un'altra generazione che spesso non si arrendono al cambiamento. Per questo sei portato a credere ciecamente alle linee Maginot che loro innalzano in modo ideologico, ignorando l'evidenza che saranno facilmente superate da nuove idee e modi di pensare. Il problema non è solo l'età anagrafica, ma l'ambiente professionale obsoleto in cui si lavora.

Al mio rientro in ufficio ho trovato su Facebook una bella discussione sulla questione anagrafica della classe dirigente. Ci si è confrontati sull'idea di prevedere per legge che, al compimento di un'età definita (diciamo 60 anni), si debba andare in pensione, che si sia politici, imprenditori o dirigenti. Io sono d'accordo. Non perché non ci siano ultrasessantenni validissimi (Steve Jobs ha 56 anni e ci sta arrivando, tanto per dire) ma perché è giusto che una nuova generazione porti le sue idee, il suo modo di pensare, il suo entusiasmo in enti e aziende. Prendendosi le sue responsabilità. Se sei un 35enne e pensi come un 65enne c'è qualcosa che non va. Per la tua vita, per il tuo lavoro e, anche, per il tuo Paese.  

venerdì 11 febbraio 2011

Un progetto per la città dove vivo

Ci sono momenti in cui hai delle idee e le vuoi realizzare a tutti i costi. Però ti scontri con i piccoli freni quotidiani: gli impegni di lavoro sono già tanti, in più ti nasce il timore di perdere tempo senza avere alcun riscontro pratico. "Chi te lo fa fare?" è la domanda.  Ma in questi ultimi giorni varie notizie mi hanno spinto a lavorare fino alle 3 di notte per un progetto che, probabilmente, non mi porterà un singolo euro in conto corrente.

Recentemente, ho visto Mauro Lattuada e i suoi Green Geek coinvolti, insieme a Wired, nell'ambizioso progetto "Sveglia Italia", per portare Internet senza fili e gratuito in 150 piazze italiane. Ho letto di "Agenda Digitale", iniziativa che ha visto numerosi professionisti unirsi per sensibilizzare sia il mondo politico che quello economico per lo sviluppo di una strategia digitale per far crescere il Paese (qui c'è un ottimo post di Massimo Melica, uno dei promotori dell'iniziativa). Ho apprezzato il fatto che altri professionisti abbiano messo cuore e anima nello sviluppo del Manifesto per l'Open Government, che continua ad evolversi (qui c'è un post di Gigi Cogo, uno della "cricca" come direbbe lui). E ce ne sono altre, tutte iniziative accomunate dal fatto che venivano, praticamente, dal basso. Verissimo, ci sono eccezioni (nell'Agenda Digitale, ci sono nomi di peso del mondo aziendale italiano), ma l'importante è che diano una spinta all'immobilismo attuale. Ci occupiamo di escort e non di futuro. A me non sembra sensato. E neanche a mia moglie, che ha grandi idee anche lei.

Allora ho deciso di muovermi anch'io, di provarci, nel mio piccolo, senza budget. Ho buttato giù due idee che avevo da tempo, ne ho parlato con mia moglie e alcuni professionisti di fiducia e proporrò di realizzarle a chi di dovere. Sono progetti che riguardano la città dove vivo, niente di particolarmente ambizioso probabilmente, ma sono temi che mi interessano molto. Riguardano un nuovo modo di utilizzare le tecnologie e gli spazi per favorire i ragazzi di oggi e i cittadini di domani. Non mi faccio illusioni ma ci provo con impegno. Su questo blog racconterò come è andata, quali soddisfazioni ho avuto e quali problemi ho incontrato: se c'è curiosità sul cosa, basta solo aspettare. Io ci voglio provare. Perché la risposta alla domanda "Ma chi te lo fa fare?" è una sola: l'entusiasmo. Non tutti i progetti sono valutabili "in euro", non dobbiamo dimenticarlo mai.

lunedì 7 febbraio 2011

Piccole certezze e grandi bugie

Sto leggendo "Il Cigno nero" di Nassin Nicholas Taleb, libro molto famoso. Non voglio trarre conclusioni, tranne quella che dalle parole dell'autore sgorga un'arroganza talmente diretta e consapevole da risultare quasi simpatica. Mi ha fatto pensare il paragrafo dedicato al "problema degli esperti", i quali, secondo Taleb, si avvicinano molto agli imbroglioni. Solo le cose che non si muovono, che non si trasformano nel tempo (ad esempio, le foto satellitari, gli scacchi, l'astronomia, etc.), possono avere dei veri esperti, mentre quelle che, in qualche modo, devono prevedere il futuro non ne hanno. Il mio lavoro cade inequivocabilmente nel secondo tipo. Come ho imparato dalle ottime persone con cui ho avuto la fortuna di lavorare, il nostro lavoro deve avere degli obiettivi e deve dare dei risultati, tangibili e misurabili. Senza la possibilità di valutare quello che si è fatto, non si può capire come lo si è fatto. Secondo Taleb, le previsioni analizzano solo fattori previsti e prevedibili e, per questo, escludono la possibilità di eventi imprevisti. Le previsioni non si possono fare perché i fattori sono troppi e trascuriamo troppe fonti d'incertezza. Non è un male, secondo lui, ma bisogna tenere conto di questo. Io sono d'accordo.

Prendiamo un mio caso professionale, come esempio. Ho appena chiuso due report di analisi di lavori che ho fatto. In uno, avevo previsto quanti articoli sarebbero usciti dopo aver "lanciato" una notizia,  in base alla mia valutazione della forza dell'annuncio e del numero di media potenzialmente interessati. Poi ho sentito direttamente varie persone che avevano visto quella notizia, sentendo da loro pareri e opinioni in merito, e ho aggiornato il numero iniziale in base questi. Li ho analizzati secondo tre fattori derivati dalla mia esperienza:
  • Se una notizia interessa alla persona che hai sentito, non è detto che poi la pubblichi perché deve sottostare a delle regole che non decide lei.
  • Nel momento in cui la persona ti risponde, non sa che notizie le arriveranno nei minuti, ore e giorni seguenti, che non dipendono da te né da lei.
  • Si tende ad ascoltare le cose positive e meno quelle negative, un "direi che probabilmente lo pubblico, ti farò sapere" si trasforma in un "sicuramente lo pubblicherò, lo giuro su mia madre" e ci cadiamo tutti, siamo umani.
I risultati? Nei vari report avevo previsto un numero di articoli variabile, diciamo tra 35-40. Ne sono arrivati 50. Bene, siamo andati oltre le aspettative, che ci importa? Certo, ma c'è anche un errore del 20% nelle previsioni (e non è mica poco), sono usciti molti articoli che non prevedevo e non ne sono usciti altri che consideravo "sicuri". Questo cosa vuol dire? Che puoi dare ai tuoi clienti solo alcuni obiettivi tangibili e misurabili, altri no.

I tuoi clienti chiederanno sempre "quanti prodotti in più mi farai vendere?" e basta rispondere, semplicemente, che è una domanda sbagliata. Io devo dimostrare di fare bene il mio lavoro. Se loro produrranno buoni prodotti, li venderanno a buoni prezzi, risponderanno prontamente a telefonate e mail, anche loro avranno fatto un buon lavoro. E questo produce, quasi sempre, buoni risultati. Quasi sempre? Certo, non viviamo mica in un mondo perfetto. Meglio è la piccola certezza che la gran bugia diceva Leonardo da Vinci, ossia uno che ha previsto le macchine del futuro. Senza saperlo.

(photo credits: Flickr, pierre pouliquin)

martedì 1 febbraio 2011

Che lavoro fai, papà?

Ciao piccolo, il papà vuole spiegarti che lavoro fa. Perché fa un lavoro un po' strano, non guida i camion, non vola sugli aerei, non prepara da mangiare per le persone. Come sai, la mamma aiuta quelli che guidano i camion, i camper e le barche. Il lavoro del papà è un po' diverso. Tu vedi che lavoro da solo, in realtà parlo con tante persone quando tu sei dai nonni.

Ti piace giocare con il trenino, no? Il papà ha aiutato le persone che lo costruiscono: ha detto loro quali cose ti piacciono di più, su quali foto punti il ditino perché sono più belle, quali sono le cose che ti interessano del trenino. E le ha fatte scrivere sulla scatola, dentro il computer, sui giornali, sul libro che stai guardando. Grazie a tante persone che fanno lo stesso lavoro del tuo papà, ogni bambino, come te, sa quanto è bello giocare con un treno, anche se non ne ha mai avuto uno prima.


Il papà ha comprato la macchina che ti piace tanto dopo aver letto un libro su di essa e dopo averla vista sul computer. C'erano un sacco di parole e di foto che gli sono piaciute, che sono state preparate da una persona che fa lo stesso lavoro di tuo papà. Faccio la stessa cosa quando ti devo comprare un trenino, una macchinina, un libro o un bob. 
C'è chi è bravo a costruire le cose, il tuo papà è bravo a parlare di queste cose con le persone. 

Il mio lavoro è quello di guardare le cose come le guardi tu per sapere cosa ti piace. Poi scrive sul computer, parla con le persone, telefona ad altre persone per far loro capire quante belle cose ci sono da dire. Sceglie le cose, le organizza e le mette insieme come un puzzle. Se qualche tuo amico te lo chiede, tuo papà fa il comunicatore. Fa capire alle persone quanto è bello guidare un camion, volare sugli aerei, preparare da mangiare. Vedi questo escavatore verde e blu sul giornale, che è molto più bello di questo giallo? Senza tuo papà, non ci sarebbe.


Il mio lavoro è difficile da spiegare e, per questo, l'ho fatto come farei con mio figlio. Ora lui ha 2 anni, c'è tempo (anche se, secondo lui, in ogni testo c'è scritto "www-punto-com" e questa cosa, oltre a sorprendermi, non è affatto sbagliata). Ma penso che questo post possa essere utile anche per far capire ai miei genitori, ai miei suoceri, ai miei amici e a chiunque altro cosa fa un consulente di marketing e comunicazione. Ai miei clienti dico sempre che comunicare semplicemente non ha alcuna controindicazione, sia che si parli di servoazionamenti che di raccolta differenziata. Non vedo perché io dovrei fare eccezione.

(photo credits: Flickr, kiki99)