lunedì 28 marzo 2011

Le aziende ascoltano (anche se spesso non sembra)

"Critico portando idee nuove, non dando colpe" diceva Cicerone. Una bella massima, apparentemente ovvia ma solo se la si guarda in superficie. Quante volte noi addetti ai lavori critichiamo le aziende che non si aprono, che non comunicano, che non colgono le nuove opportunità senza, allo stesso tempo, impiegare un po' di tempo a spiegare loro cosa dovrebbero fare. Le colpevolizziamo seduta stante, senza attenuanti né possibilità di appello. Se l'operaio addetto al controllo della caldaia mi dicesse che sono obsoleto perché, ad esempio, non investo in nuovi prodotti (senza spiegare che con una caldaia a condensazione potrei avere più rendimento e meno costi, potendola anche collegare a pannelli solari) non la prenderei bene, questo è certo. Eppure talvolta sono proprio io ad avere questo stesso atteggiamento nei confronti delle aziende. Critico senza spiegare né dare idee nuove.

Questa riflessione è nata dopo due riunioni avute da un cliente, dove stiamo sviluppando la nuova Intranet. Al primo incontro, ho portato un'idea nuova per loro: si poteva partire dai contenuti che gli utenti/dipendenti vogliono trovare e non necessariamente dall'organigramma aziendale (da un'architettura per servizi e non per settori, come spiega benissimo Giacomo Mason). Ovviamente, c'è stata una reazione dei presenti, del tutto prevedibile. Su un grande foglio bianco sono stati replicati i settori aziendali, che apparivano al 70% dei presenti non solo la modalità più chiara ma anche l'unica possibile, non c'era alternativa. Grazie al supporto di due persone, si è provato a spiegare che si poteva andare oltre le abitudini consolidate, dando priorità ai dipendenti/utenti. Il mantra era: se io fossi nuovo qui, troverei velocemente quell'informazione seguendo la vostra logica? La riunione è finita senza aver visto molti volti convinti. "Al solito" mi sono detto.

La seconda riunione è arrivata una ventina di giorni dopo, dopo aver condiviso con il responsabile del progetto una proposta organica dell'architettura informativa generale. Una soluzione ibrida, che integrava sezioni divise per servizi, aree tematiche e settori, con l'assunto di partenza che rimaneva lo stesso: facilitare il lavoro al singolo dipendente. La proposta rivista è stata condivisa coi presenti, senza aspettarsi troppe reazioni di entusiasmo. Invece, al di là di alcune modifiche (legittime), l'architettura ha trovato un consenso molto ampio, con alcuni scettici della prima ora che hanno rilevato che forse era ancora difficile "navigarci dentro" per un dipendente medio. Una rivoluzione copernicana.

Cosa è successo? Semplicemente, hanno avuto il modo, il tempo e le possibilità (i documenti) per rifletterci su. Hanno capito cosa intendevo leggendolo su carta, hanno provato a pensare al loro specifico caso, hanno capito che c'era un'idea nuova da non scartare a priori. C'erano soluzioni a cui non avevano pensato, ma non per chiusura o obsolescenza ma, più facilmente, perché nessuno prima gliele aveva proposte. Da qui in avanti non mi aspetto che il progetto proceda senza intoppi ma ho avuto una prova tangibile del fatto che le aziende possono ascoltare, riflettere e, anche, cambiare idea. Il tempo delle critiche tornerà presto ma con una nuova consapevolezza: "invece di maledire il buio, è meglio accendere una candela".

(Photo credits: Flickr, Poluz)

lunedì 21 marzo 2011

Un progetto per la città dove vivo: buone nuove

Siamo alla terza puntata della storia del mio progetto (le prime due le trovare qui e qui), ossia di due idee che voglio provare a realizzare nella città dove vivo. Un tentativo di pensare a un nuovo modo di utilizzare le tecnologie e gli spazi per favorire i ragazzi di oggi e i cittadini di domani, le cui parole chiave sono Wi-Fi e Coworking. Volete saperne di più? Date un'occhiata qui sotto.
Bene, ci sono buone notizie. La scorsa settimana ho incontrato il responsabile dei sistemi informativi dell'Unione Comuni Modenesi Area Nord, di cui Mirandola (la città dove vivo e lavoro) fa parte. Mi ha informato che c'è già un progetto, in fase avanzata di sviluppo, per la realizzazione di numerose iniziative per abbattere il digital divide, per rivitalizzare le piazze dei comuni e per promuovere il territorio dal punto di vista della frequentazione turistica e lavorativa. Ossia tre temi che mi stanno molto a cuore, come si vede bene dalla presentazione (che ho scritto senza sapere nulla di questo progetto). La creazione di Oasi Wi-Fi nei comuni interessati ha catturato la mia attenzione, ho posto numerose domande e ho ottenuto risposte molto interessanti. Se tutto va bene, entro il 2011 si potrà avere il Wi-Fi in centro. Aspetto fiducioso.


Come ho scritto qualche post fala pubblica amministrazione è piena di persone di grande talento. Ne ho avuto una diretta conferma anche nell'incontro con il responsabile mirandolese. Giovane e competente, mi ha confermato l'incontro a una settimana dalla mia richiesta in qualità di semplice cittadino: la velocità di risposta è un dato sempre rilevante quando si ha a che fare con gli enti pubblici. Mi ha illustrato il progetto, mi ha parlato di tempi e obiettivi, mi ha dato molta fiducia (la mia cronaca andrà avanti e stiamo a vedere). In più, mi ha ringraziato per il fatto di avere dimostrato interesse per questo progetto. Spesso, mi ha detto, la gente si limita a lamentarsi di quello che non si fa invece di proporre qualcosa da fare. Non posso essere più d'accordo. E, nel contempo, sono contento di averlo, in parte, smentito

giovedì 17 marzo 2011

Italia, noi ci crediamo

Tutto è nato da un'idea semplice, qualche settimana fa. Avevamo poco tempo, molti di noi non si conoscevamo tra loro, avevamo solo la voglia di esprimere quanto ci teniamo a questo Paese, alla nostra Patria, all'Italia che festeggia i 150 anni di unione. Ne è nato un bellissimo sito, RisorgItalia, che ha l'unico obiettivo di dare uno spazio per una dedica, un modo semplice di esprimere la sua idea sul nostro Paese. C'è stato bisogno di scrivere "iniziativa non politica e non commerciale", perché tanti hanno pensato che "ci fosse qualcosa sotto". All'italiana, insomma. Niente di tutto ciò.

Oggi, 17 Marzo, si festeggia. Io ho messo il mio tricolore fuori dalla finestra e ho appuntato una piccola coccarda sul petto di mio figlio. Ma voglio dare spazio anche a un video bellissimo, il secondo (qui c'è il primo), che è stato creato da noi Patrioti Digitali, tutti semplici cittadini che hanno speso un po' di tempo e tanta passione per concretizzare quest'idea. Lo trovate qui sotto e su YouTube (è di nuovo, online, dopo piccoli intoppi che ai Patrioti non fanno paura). Io sono al minuto 1.32. E per me è un onore. Grazie a tutti.

lunedì 14 marzo 2011

I dipendenti pubblici che fecero l'impresa*

La pubblica amministrazione è piena di persone di grande talento. No, non si tratta di un lapsus e non mi sono nemmeno bevuto qualche birra prima di scrivere questo. Ho lavorato dentro a un ente pubblico, ho collaborato con comuni e provincie da fuori come consulente, ho un'ampia esperienza sul campo. E persone validissime per competenza ed esperienza ne ho trovate parecchie. Il problema più grosso è che, riflettendo perfettamente le caratteristiche del Paese dove viviamo, gli enti pubblici non sono per nulla meritocratici. Non c'è alcun incentivo pratico nel fare qualcosa in più perché non si ha alcun vantaggio pratico. Anzi, spesso sono proprio i colleghi che mettono i bastoni tra le ruote chiedendoti "ma chi te lo fa fare?" e facendo pressioni per mantenere uno status quo di inazione di cui poi si possono lamentare alla macchinetta del caffè. Ma ci sono eccezioni, grazie a Dio.

Sono stato al convegno/camp OpenPA 2011 a Bologna (qui la pagina su Facebook) e ho assistito alla presentazione del progetto realizzato dalla Regione Piemonte: un portale "open data" (tema che mi interessa molto e di cui ho già scritto qui e qui), un sito dove l'amministrazione piemontese mette a disposizione dei cittadini tutti i dati a sua disposizione. "Gli enti pubblici dove lavoriamo hanno quantità mostruose di informazioni. In più, noi siamo già pagati per condividerle coi cittadini. E abbiamo deciso di farlo" ha detto Anna Cavallo, una delle responsabili di CSI Piemonte nonché brillantissima oratrice. L'aspetto innovativo non finisce qui. Le informazioni sono tutte "open by default" (accesso senza restrizioni, ossia una policy che ribalta il concetto di accesso ai dati, il quale deve essere sempre libero tranne quando riguarda aspetti legati alla privacy e alla sicurezza) e hanno una licenza Creative Commons (come il blog dove sto scrivendo) ma di tipo "CC0", cioè si possono utilizzare liberamente per qualsiasi finalità (compresa quella commerciale!). Rivoluzionario. Qui c'è il portale e qui sotto c'è la presentazione integrale (senza la voce e la verve di Anna Cavallo, purtroppo).
Dati liberi, disponibili, per qualsiasi utilizzo. Non stupisce che la Regione Piemonte sia stata la prima e unica in Italia ad aver fatto un progetto del genere fino ad ora. Hanno capito quanto possa essere importante il riutilizzo delle informazioni (dati non strutturati, generati spesso per altri scopi) per lo sviluppo economico e sociale di un territorio, principio promosso anche dall'Unione Europea e già sviluppato dall'Amministrazione Obama negli Stati Uniti con il portale Data.gov. I dati ci sono già, bisogna trovare un modo per mandarle fuori dagli uffici degli enti pubblici e utilizzarli nuovamente per promuovere dei progetti, ossia "l'informazione come infrastruttura" citata dal Manifesto per l'Open Government (a cui ho dato il mio, piccolissimo, contributo). In Piemonte ci sono riusciti e questa è già una bella lezione per le altre 19 regioni italiane. In più, faccio notare che la presentazione di questo progetto, brillante e molto efficace, è stata fatta da due donne. Un'altra lezione, altro che "quote rosa".


(l'immagine iniziale è stata creata da Wordle con l'URL del portale piemontese) 

giovedì 10 marzo 2011

Le raccolte differenziate per me pari sono

Per quanto riguarda le tematiche legate alla tutela dell'ambiente dove viviamo, bisogna ammettere che le campagne per aumentare la raccolta differenziata non sono mancate. Molti di noi ormai dividono plastica e carta, organico e vetro, lattine e rifiuti indifferenziati, è diventata una prassi quotidiana. Ma questo impegno, lodevole e meritorio, si esaurisce a questo tipo di materiali. E quando c'è da cambiare il cellulare, la televisione, un elettrodomestico o il computer cosa facciamo? Ci dimentichiamo che esiste la raccolta differenziata per i RAEE, i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. Perché non vengono trattati alla stregua degli altri rifiuti a livello di comunicazione, è un dato di fatto.

Siamo sommersi da comunicazioni ricolme di "bio", "eco" e "green" ma di "RAEE" non se ne parla quasi mai. Eppure viviamo in un'era in cui quasi tutti i cittadini dispongono di cellulari e computer e dove i regali più apprezzati sono tablet e console per giocare. Abbiamo robot che ci puliscono la casa, lavastoviglie che evitano di lavare i piatti, televisioni sempre più piatte ed evolute. Tutto bello ma quando i prodotti si rompono o li dobbiamo cambiare, cosa facciamo? Ce lo dice una ricerca del consorzio Ecodom. L'86% delle apparecchiature informatiche ed elettroniche non viene ritirato dai negozianti (percentuale analoga per i piccoli elettrodomestici), anzi il 67% di questi rifiuti rimane inutilizzato e il 9% viene trattato in modo non corretto. Quanti di noi sanno che i rivenditori hanno l'obbligo di ritirare gratuitamente i vecchi prodotti al momento dell’acquisto di una nuova apparecchiatura equivalente? Il 53% degli italiani ne ignora l'esistenza, un altro 30% "ne sa qualcosa". La carenza a livello di comunicazione è del tutto evidente. Una piccola provocazione: forse i rivenditori non hanno convenienza a promuovere un servizio gratuito per il cittadino ma ritenuto dispendioso per loro in termini di tempo e costi?


I RAEE contengono sostanze considerate tossiche e non sono per nulla biodegradabili (tranne alcune eccezioni, ancora a livello di prototipo). Il loro abbandono nell'ambiente rischia di inquinare il suolo, l'aria o l'acqua molto più di una bottiglia di plastica o di un giornale di carta. Questi prodotti contengono materiali come rame, ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, piombo e mercurio che, oltre ad essere devastanti per la sostenibilità ambientale, potrebbero essere riutilizzati efficacemente per costruire nuove apparecchiature. Ma noi, attentissimi a comprare prodotti biologici o "green" all'ipermercato, trascuriamo queste cose nella tranquillità della nostra casa. Ogni italiano produce 15 chili di RAEE all'anno, di cui 10 si perdono in canali non ufficiali e potenzialmente dannosi. Una soluzione semplice? Portare i RAEE nelle isole ecologiche e/o ecocentri, presenti in molte città italiane. Un italiano su cinque non sa nemmeno cosa siano né a cosa servano queste aree.

Quando ho lavorato per realizzare i contenuti del nuovo sito di una multiutility, ho insistito per sottolineare posizione, orari e modalità di utilizzo degli ecocentri attivi, sia all'interno delle pagine dedicate all'igiene ambientale che a quelle dei singoli comuni. Per tutelare l'ambiente dove viviamo non possiamo avere raccolte differenziate di serie A e di serie B. I cittadini devono essere informati meglio sui RAEE (un progetto interessante in questo senso è "clean up" di Luca Pagliari) perché ne avremo sempre di più. I nuovi iPad 2 e iPhone 5 sono alle porte, meglio sapere dove buttare le versioni obsolete che abbiamo comprato solo qualche mese fa (altra piccola provocazione, ironica ma solo fino a un certo punto come l'azienda produttrice indirettamente conferma).

martedì 8 marzo 2011

Uscire dai castelli di carta

Nei mesi passati ho riflettuto spesso sull'utilità delle fiere, analizzandole come forma di benchmarking semplificato (dato che là non si vende più e da più di un decennio) e valutando come la partecipazione di un'azienda possa essere considerata più o meno positivamente (obiettivamente, non valutando gli umori dei commerciali). Oggi faccio una veloce considerazione, forse più critica. Molto spesso analizziamo, in modo del tutto impeccabile, come le aziende debbano aprirsi verso l'esterno e parlare con i propri interlocutori, sfruttando le potenzialità offerte da Internet e Social Network. Le parole chiave "ascoltare", "conversazione" o "feedback" sono molto presenti in queste analisi, spesso inserite in riflessioni molto brillanti (come questa del mio amico Doctor Brand). Tutto molto vero. Però poi io vado in una fiera di livello internazionale e vedo tutto un altro mondo.

Ho visto aziende leader a livello internazionale esporre i loro prodotti senza avere alcuna voglia di ascoltare, conversare o avere feedback. Una in particolare ha colpito la mia attenzione in una recente fiera a cui ho partecipato. Ti guardavano storto se ti avvicinavi, specialmente se privo di cravatta (come me), ti analizzavano attentamente se cercavi di prendere qualche informazione o, peggio, catalogo (ma l'obiettivo non è proprio quello di distribuire le tue informazioni?). E parliamo di una comunicazione interpersonale, in cui il tuo interlocutore è di fronte a te, in carne ed ossa, mica una figura misteriosa che, magari, si nasconde dietro nickname particolari e che parla attraverso il Web. Se riesci a obbligarli ad uscire dai loro stand, simili a castelli di carta, non ti guardano neanche in faccia: analizzano il tuo badge, controllano in giro, rispondono svogliatamente. Chiaramente, sono aziende B2B. Che sia impossibile per loro comprendere che i loro castelli sono fragili? Che devono ascoltare, conversare, avere feedback dall'esterno?

Assolutamente no. Mi aspetto che capiscano che hanno tutte le potenzialità per comunicare in maniera diversa. Voglio pensare che siano consapevoli del fatto che ogni opportunità può essere un vantaggio per loro e che "giudicare un libro dalla copertina" non è mai un'idea troppo brillante. Mi piace credere che si possa accogliere le persone con un sorriso, parlare di prodotti in modo professionale ma rilassato, esprimere le competenze dell'azienda senza guardare storto il primo che passa. Illusione? Per niente. Sto lavorando con un'azienda che è diretta competitor di quella che descrivevo qualche riga fa: stand più piccolo, meno budget ma una voglia matta di far vedere che a loro piace quello che fanno. Sorrisi spontanei a ogni visitatore, un'atmosfera rilassata ma molto professionale, 6-7 ragazzi giovani a parlare di prodotti industriali (e non i soliti due commerciali con 20 anni di esperienza e tanta voglia di essere da un'altra parte). Fortunatamente, ci collaboro: mi ascoltano, collaborano, mi danno spunti. E un sacco di soddisfazioni.


Allora sono pronti per "ascoltare", "conversare" o "avere feedback" anche nella rete? Andiamo con calma. Ogni azienda ha un suo percorso da fare, più o meno lungo. La differenza la fa la consapevolezza di voler e poter crescere nella propria comunicazione. Ma chi ci crede oggi, vedrà i risultati domani, forse dopodomani. Ma quella è la strada. Chi non la vede, sta rinchiuso nel suo stand e vede solo le sue pareti: dubito sia un buon modo per indovinare il futuro. Parafrasando la tesi numero 15 del mio amico Gianluca Diegoli, "rinunciare a ospitare e incentivare la conversazione sul proprio stand significa spingerla a chiedere asilo in territori in cui non avete accesso o influenza". Uscite fuori dai vostri castelli di carta, il mondo è molto diverso. E non è per niente una brutta notizia.

(la prima foto è un omaggio a Byan Berg, recordman di castelli di carta, la seconda è la "soluzione" che ha portato un sacco di gente allo stand di un'azienda al Samoter 2011)

martedì 1 marzo 2011

Patrioti digitali

L'iniziativa è nata quasi per caso, dopo una riflessione sui 150 anni dell'Unità d'Italia. Derivata dalla sicurezza di essere migliori di quanto sembriamo e dalla volontà di fare sapere che, nonostante tutto, amiamo il nostro Paese. L'idea è venuta a Massimo Melica: fare un portale in cui chiunque, previa autenticazione, scriverà la propria dedica all’Italia. Si chiama RisorgItalia. Niente appartenenze politiche, niente fini commerciali, solo un atto del tutto personale. Sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, da Internet, dai Social Network per far vedere, anche a noi stessi, che siamo meglio di come ci dipingiamo. Abbiamo bisogno di comunicarci in modo diverso. Abbiamo bisogno di Patrioti Digitali. Su Facebook siamo qui.


Basta guardare agli ultimi 150 anni, alle persone che hanno dato lustro all'Italia in ogni campo, nonostante tutto, per trarre grandi esempi. Abbiamo una litigiosità politica seconda a nessuno, una burocrazia che non teme confronti al mondo, uno stato iniquo che ci impone una pressione fiscale da record senza darci quasi niente in cambio. Siamo la terra che ha inventato la mafia, è vero, ma anche quella che ha generato le persone che hanno creato il telefono e la plastica, la radioil microprocessore. Sono centinaia i geni italiani che, in ogni campo, hanno dato un impulso decisivo, che hanno fatto nascere quel collegamento ideale, conosciuto in tutto il mondo, tra Italia e creatività. Non siamo solo quello che esprimono i politici attuali, siamo molto di più. Dimostriamolo usando la lingua splendida che abbiamo e le potenzialità di Internet.

RisorgItalia parte l'8 Marzo. Niente quote rosa, uomini e donne pari sono. Una vocina mi chiede cosa cambierà domani, in pratica, dopo questa iniziativa? Nulla, le rispondo, con tranquillità. Con la consapevolezza che sicuramente, dentro di noi, una piccola luce sarà più forte di ieri.