martedì 8 marzo 2011

Uscire dai castelli di carta

Nei mesi passati ho riflettuto spesso sull'utilità delle fiere, analizzandole come forma di benchmarking semplificato (dato che là non si vende più e da più di un decennio) e valutando come la partecipazione di un'azienda possa essere considerata più o meno positivamente (obiettivamente, non valutando gli umori dei commerciali). Oggi faccio una veloce considerazione, forse più critica. Molto spesso analizziamo, in modo del tutto impeccabile, come le aziende debbano aprirsi verso l'esterno e parlare con i propri interlocutori, sfruttando le potenzialità offerte da Internet e Social Network. Le parole chiave "ascoltare", "conversazione" o "feedback" sono molto presenti in queste analisi, spesso inserite in riflessioni molto brillanti (come questa del mio amico Doctor Brand). Tutto molto vero. Però poi io vado in una fiera di livello internazionale e vedo tutto un altro mondo.

Ho visto aziende leader a livello internazionale esporre i loro prodotti senza avere alcuna voglia di ascoltare, conversare o avere feedback. Una in particolare ha colpito la mia attenzione in una recente fiera a cui ho partecipato. Ti guardavano storto se ti avvicinavi, specialmente se privo di cravatta (come me), ti analizzavano attentamente se cercavi di prendere qualche informazione o, peggio, catalogo (ma l'obiettivo non è proprio quello di distribuire le tue informazioni?). E parliamo di una comunicazione interpersonale, in cui il tuo interlocutore è di fronte a te, in carne ed ossa, mica una figura misteriosa che, magari, si nasconde dietro nickname particolari e che parla attraverso il Web. Se riesci a obbligarli ad uscire dai loro stand, simili a castelli di carta, non ti guardano neanche in faccia: analizzano il tuo badge, controllano in giro, rispondono svogliatamente. Chiaramente, sono aziende B2B. Che sia impossibile per loro comprendere che i loro castelli sono fragili? Che devono ascoltare, conversare, avere feedback dall'esterno?

Assolutamente no. Mi aspetto che capiscano che hanno tutte le potenzialità per comunicare in maniera diversa. Voglio pensare che siano consapevoli del fatto che ogni opportunità può essere un vantaggio per loro e che "giudicare un libro dalla copertina" non è mai un'idea troppo brillante. Mi piace credere che si possa accogliere le persone con un sorriso, parlare di prodotti in modo professionale ma rilassato, esprimere le competenze dell'azienda senza guardare storto il primo che passa. Illusione? Per niente. Sto lavorando con un'azienda che è diretta competitor di quella che descrivevo qualche riga fa: stand più piccolo, meno budget ma una voglia matta di far vedere che a loro piace quello che fanno. Sorrisi spontanei a ogni visitatore, un'atmosfera rilassata ma molto professionale, 6-7 ragazzi giovani a parlare di prodotti industriali (e non i soliti due commerciali con 20 anni di esperienza e tanta voglia di essere da un'altra parte). Fortunatamente, ci collaboro: mi ascoltano, collaborano, mi danno spunti. E un sacco di soddisfazioni.


Allora sono pronti per "ascoltare", "conversare" o "avere feedback" anche nella rete? Andiamo con calma. Ogni azienda ha un suo percorso da fare, più o meno lungo. La differenza la fa la consapevolezza di voler e poter crescere nella propria comunicazione. Ma chi ci crede oggi, vedrà i risultati domani, forse dopodomani. Ma quella è la strada. Chi non la vede, sta rinchiuso nel suo stand e vede solo le sue pareti: dubito sia un buon modo per indovinare il futuro. Parafrasando la tesi numero 15 del mio amico Gianluca Diegoli, "rinunciare a ospitare e incentivare la conversazione sul proprio stand significa spingerla a chiedere asilo in territori in cui non avete accesso o influenza". Uscite fuori dai vostri castelli di carta, il mondo è molto diverso. E non è per niente una brutta notizia.

(la prima foto è un omaggio a Byan Berg, recordman di castelli di carta, la seconda è la "soluzione" che ha portato un sacco di gente allo stand di un'azienda al Samoter 2011)

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