venerdì 15 aprile 2011

Comunicare le energie rinnovabili: diamoci da fare


Cronaca di oggi: una ricerca sottolinea come stiano aumentando notevolmente le proteste di cittadini, liste civiche e anche amministrazioni comunali nei confronti di nuovi impianti che sfruttano le energie rinnovabili. Apparentemente sembra paradossale ma è così. "Gli effetti perversi" provocati dalla cultura Nimby (not in my back yard, «non nel mio giardino») colpiscono gli impianti eolici, fotovoltaici e, soprattutto, quelli a biomassa, dato che questi ultimi vengono scambiati per inceneritori. Protestano per il gusto di protestare o per mancanza di informazione? A mio parere, per entrambi i casi. Sul primo ci si può fare poco, il secondo aspetto è più interessante.

Qualche tempo fa avevo scritto un post su un'esperienza professionale relativa alla "comunicazione dei rifiuti" partendo da un assunto: chi sa cosa succede a una lattina, a una bottiglia di plastica, a un contenitore di vetro dopo averli buttati nel giusto contenitore per la raccolta differenziata? Pochi lo sanno. Io ho realizzato i contenuti di un sito di una società specializzata nella gestione dei rifiuti, Eco-Ricicli Veritas, proprio perché loro volevano spiegare tutto per filo e per segno, in modo semplice e comprensibile. Quante aziende, enti e associazioni lo fanno? Poche. Io mi sto specializzando molto su questi temi, perennemente in evoluzione, e sto cercando di dare concretezza alla comunicazione ambientale. Nel settore della raccolta e valorizzazione dei rifiuti abbiamo potuto comunicare l'intero ciclo (leggi qui), in altri ambiti c'è ancora molto da dire. Le aziende, quando le cose vengono loro spiegate, si attivano, cercano di informare, di spiegare ma è ancora poco. 

Prendiamo le biomasse, che non sono altro che materiali residuali di origine organica, vegetale (pezzetti di legno, cippato, etc.) o animale (liquami), che, se appositamente trattati, producono energia elettrica e biogas senza alcuna emissione in atmosfera. Come avevo già detto qualche tempo fa, si stima che in Italia il quantitativo annuo di questo tipo di materiali sia superiore ai 25 milioni di tonnellate all'anno, ossia una "ricchezza energetica" pari a 24-30 milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio) all'anno. Noi  consumiamo 80 milioni di tonnellate di petrolio all'anno, fonte non rinnovabile che ha costi, come vediamo in questi giorni, sempre più alti. Abbiamo una ricchezza enorme e se ne parla pochissimo. La colpa è anche delle aziende che non comunicano, che non spiegano come si può produrre energia e gas da materiali di scarto senza problemi per l'ambiente e i cittadini. Il marketing (green o non green) deve servire a questo, a spiegare cosa fa un'azienda, a parlare in modo franco e diretto alle persone.

Esattamente un anno fa scrivevo di come fosse diverso l'approccio delle priorità da dare alla "Green Communication" tra americani e italiani. Loro puntano sui fatti: formazione, investimenti e lavoro. Noi, che abbiamo una ricchezza rara in termini di disponibilità di energie rinnovabili (sole, vento, biomasse, geotermia), ci perdiamo nelle parole. Troppe, quando servono per protestare senza conoscere nemmeno l'oggetto delle tue azioni (come fanno anche alcune amministrazioni comunali, nella perversa logica "non nel mio mandato") o per litigare per avere più influenza politica (le liti in atto tra Assosolare e Gifi sul decreto delle rinnovabili). Poche, pochissime, quando servono a spiegare le cose. Giunta è l'ora che le aziende e gli enti inizino a comunicare alle persone in modo chiaro, diretto e facile da capire. "La semplicità è la gloria dell'espressione" diceva Walt Whitman. Diamoci da fare.

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