venerdì 30 settembre 2011

Uscire fuori dal tunnel (dei neutrini)

Il caso del comunicato stampa sul "tunnel dei neutrini" (#tunnelgelmini) è ormai famoso. Molti dei commenti sono stati duri, molto duri (basta cercare su Google, se ne trovano a decine), altri un po' più morbidi (vedi qui). Notizia di ieri è che il portavoce, Massimo Zennaro, 38enne padovano, si è dimesso. Senza dubbio, la gaffe è stata grossa ma la gestione di questi casi, a livello di comunicazione, fa vedere le vere competenze che si hanno nel tutelare la propria immagine e quella dell'organizzazione in cui si opera. Facciamo un veloce confronto, tanto per capirci.

Caso #tunnelgelmini 
Esce il comunicato stampa (oggi è ancora online, senza note né correzioni), in rete si nota quasi subito il grossolano errore e cresce giustamente la polemica e la satira. Cosa fa il Miur? Incarica l'ufficio stampa di diramare una nota in cui si afferma che "la polemica è destituita di fondamento e assolutamente ridicola", perché un tunnel effettivamente c'è anche se è lungo un chilometro (la nota ufficiale è qui). Rileggete il comunicato stampa incriminato, il testo è chiaro e cita testualmente un tunnel "tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l'esperimento". Qui non c'è solo la fisica ma anche la grammatica, la pezza è, quindi, peggiore del buco: secondo errore, più grave del primo perché non è una gaffe (in buona fede) ma una scusa che non regge. Martedì sera, in televisione, il Ministro La Russa dice che i Ministri non scrivono i comunicati stampa e per questo non è colpa della Gelmini. Certamente non li scrivono, ma neanche li leggono e li approvano? Ne dubito fortemente. Oggi arrivano le dimissioni da portavoce di Zennaro, il cui vero motivo, a mio parere, non dovrebbe essere la gaffe in sé ma il carente operato in termini di crisis management,

Nella sostanza, l'errore rimane, il danno di immagine pure e non è stato fatto nulla per alleggerirlo a livello di comunicazione. A livello di gaffe, altri ne hanno fatte di peggiori e sono ancora al loro posto.

Caso 57 Stati
Campagna elettorale 2008, Barack Obama è in piena attività nella sua corsa verso la Casa Bianca quando dichiara solennemente ai giornalisti: "Over the last 15 months, we’ve traveled to every corner of the United States. I’ve now been in 57 states? I think one left to go. Alaska and Hawaii, I was not allowed to go to even though I really wanted to visit, but my staff would not justify it" (tutto vero, vedi qui). Insomma, l'attuale Presidente aveva dichiarato che gli Stati Uniti avevano, in totale, 60 Stati, 10 in più delle stelle nella Stars and Stripes. Una catastrofe comunicativa? Certo ma gestita magistralmente, con semplicità. Barack Obama infatti dichiara alla stampa: "I understand I said there were 57 states today. It's a sign that my numeracy is getting a little, uh". Ammette l'errore, sottolinea di averlo fatto per stanchezza, si scusa personalmente in modo indiretto ed elegante.

Nella sostanza, nessuno si ricorda la gaffe né il danno d'immagine (tranne qualcuno che cerca disperatamente di trovare chiavi di lettura alternative, arrampicandosi su ipotesi deliranti). Forse perché Obama si circonda di specialisti di comunicazione più validi, come Cody Keenan (qui sotto a sinistra)?


Immaginiamo un'Italia diversa. Montano le polemiche e i comprensibili sbeffeggi, la Gelmini indice una conferenza stampa dove ammette l'errore "alla Barack Obama", assumendosi la responsabilità quale vertice del suo dicastero. Immaginiamo una nota per i media: "Abbiamo preso una cantonata solenne nella fretta di partecipare ai festeggiamenti per la riuscita di un esperimento storico. Visto il Ministero che rappresento, devo dare il buon esempio a milioni di studenti: io e il mio staff invitiamo qui a Roma tutti i ricercatori italiani coinvolti nel progetto per complimentarci ma soprattutto per farci dare qualche lezione di fisica. Evidentemente, un ripasso non può farci che bene". Mettete tutto in "burocratese", mantenendo lo stesso concetto. Un modo migliore di uscire dal "tunnel dei neutrini", non credete?

Aggiornamento
: Massimo Zennaro, oltre a mantenere il suo posto di Direttore Generale alla comunicazione del MIUR, farà da consulente a Barbara Berlusconi. Questa è l'Italia reale, purtroppo.

giovedì 29 settembre 2011

La mia vita "sociale" va in analisi

Da qualche giorno ho un profilo Twitter (come vedete dai bottoncini qui a destra). La mia reticenza non era motivata tanto da problemi dello strumento in sé, dati i numerosi giudizi positivi che mi sono dati dati da amici, da addetti ai lavori e da professionisti con cui mi sento. Le perplessità erano motivate dal fatto che il tempo materiale che posso dedicare alla mia vita online non è, di fatto, espandibile per cui aggiungere un altro profilo ai numerosi esistenti non mi sembrava una bella idea. Dopo attenta riflessione e pareri illuminati mi sono deciso: mi trovate a cinguettare qui. Abbiate pazienza se faccio qualche errore su hashtag e retweet, sono un neofita dello strumento e lo ammetto candidamente.

Questa occasione mi ha portato a decidere di riorganizzare (parola che odio) gli strumenti sociali che utilizzo, soprattutto per fini professionali: parlare di argomenti interessanti, avere spunti e idee, trovare potenziali clienti. Per questo, utilizzerò il mese di ottobre come banco di prova per vedere quali strumenti funzionano e quali no. Come dicevo, sono un essere umano, le mie ore sono limitate, non sono un guru con il dono dell'ubiquità "social". Si tratta di un esperimento su me stesso, valido solo per me ma che spero possa essere utile per condividere esperienze, vantaggi, problematiche e prospettive con altre persone. Ad oggi, la mia vita sociale vede un'intensa attività su Facebook, LinkedIn, Google+, Friendfeed e Twitter, con presenze non regolari su YouTube (da creatore di contenuti, come utente sono attivissimo), Slideshare (le presentazioni sono lunghe da fare) e Quora (l'entusiasmo iniziale è velocemente scemato).

Devo ammettere che, da professionista specializzato nella comunicazione B2B, la mia vita "sociale" mi ha portato benefici a livello di relazioni (numerose con persone molto competenti in vari settori), di formazione e di aggiornamento sulle ultime novità. A livello di nuovi clienti, solo LinkedIn mi ha portato, ad oggi, risultati concreti. La mia sensazione è che per professionisti e PMI non ci sia, ad oggi, un Social Business Network adatto a soddisfarne le necessità, un posto dove le aziende e i professionisti possano avere un loro spazio dedicato per comunicare, farsi trovare, aggregarsi e vendere. I Social Network sono nati per le persone e questa caratteristica, penso, non potrà mai essere cambiata (l'unica parziale eccezione è Xing, che però non ha sfondato completamente). "L'elenco del telefono aumentato" su Internet ce l'abbiamo, anzi ne abbiamo parecchi e di forme diverse. Ci mancano le "pagine gialle aumentate" per trovare liberi professionisti e imprese, sapere cosa fanno, parlarci insieme. Se ci fosse qualche sviluppatore all'ascolto o qualcuno che ci ha già provato, batta un colpo. 

Ci sentiamo tra un mese, quando uscirò dal mio esperimento di riorganizzazione della vita sociale online. Anche perché, avendo quasi due figli, quella reale è molto limitata.

martedì 27 settembre 2011

Un progetto per la città dove vivo: Internet senza fili arriva in piazza

Il Wi-Fi in piazza sarà realtà nella città di Pico: questa è la notizia ma andiamo con ordine. Da mesi sto avendo colloqui, da semplice cittadino, con responsabili del Comune, dei commercianti, delle banche e dei professionisti attivi nella città dove vivo, Mirandola (il riassunto delle puntate precedenti si trova qui). Il mio obiettivo era quello di proporre due idee, invece di fare le solite lamentele fini a loro stesse: realizzare il Wi-Fi in piazza (connessione a Internet senza fili e gratuita, sull'esempio di quanto hanno fatto i Green Geek a Milano) e creare uno o più spazi di coworking per far lavorare insieme professionisti di diversi settori. Due progetti non troppo costosi (vedi la presentazione qui sotto) che potevano avere un impatto diretto e positivo nella vita di una città con meno di 25mila abitanti, anche a livello di promozione del territorio.

Progetto Wi-Fi e Coworking a Mirandola
Qualche giorno fa mi ha contattato il responsabile dei sistemi informativi dell'Unione Comuni Modenesi Area Nord (di cui Mirandola fa parte), dicendomi di avere aggiornamenti positivi. Un dipendente comunale che ti chiama, di sua volontà, solo per darti belle notizie? Non è cosa da tutti i giorni. Ieri mattina mi ha confermato che il progetto di portare Internet senza fili in piazza è, quasi, realtà. La gara è stata fatta, le infrastrutture prioritarie sono pronte ed entro fine ottobre si attiveranno le antenne a Mirandola e in altre quattro città vicine. Il progetto, iniziato prima che io ne parlassi col Sindaco, prevede più step per arrivare nelle varie aree urbane: l'obiettivo è realizzare, in tempi brevi, almeno un'oasi Wi-Fi nella piazza principale di ogni Comune interessato, con un raggio di copertura di 150 metri (ostacoli e muri permettendo).

Partendo dall'ottica del singolo cittadino, vuol dire questo: arrivare in piazza, prendere il proprio cellulare o portatile, autenticarsi grazie al sistema FedERA (progetto che prevede un'unica autenticazione per accedere a tutti i servizi online degli enti locali dell'Emilia Romagna) e avere un'ora di connessione gratuita. Per chi vuole, sarà possibile acquistare pacchetti a pagamento per navigare più a lungo e altre possibilità verranno annunciate in seguito. In più, è in fase di sviluppo un progetto collegato per portare connessioni veloci anche nelle aree dove non ci sono, limitando così il Digital Divide. Di questo ne parlerò più avanti, non vorrei andare fuori tema.

Per chiunque segua questo tipo di progetti, sa che le cose non sono facili perché bisogna prevedere un coordinamento tra tutti i partner (pubblici e privati), regole condivise e precise tempistiche di riferimento. La distanza tra quanto viene annunciato e la realtà talvolta è grande (vedi un esempio "regionale" qui) e per questo nei prossimi giorni attendo un aggiornamento più completo. Il fatto significativo è che un semplice cittadino come me abbia proposto delle idee, abbia saputo dell'evolversi di più progetti che avevano lo stesso fine e che ora ne venga informato direttamente. Con nuovo entusiasmo, tornerò alla carica per vedere se è possibile realizzare uno spazio di coworking. Magari manderò mail direttamente dalla piazza, sorseggiando un buon spritz.

giovedì 22 settembre 2011

Fare luce sulle rinnovabili: meno filosofia, più informazione

L'era digitale ci offre talmente tante informazioni che spesso conosciamo più il superfluo dell'utile. Viviamo in un periodo in cui la produzione di dati e contenuti è elevatissima, vista la facilità con cui si possono creare e distribuire, ma dove ci lamentiamo sempre per la scarsa qualità degli stessi dati e contenuti. Si tratta di un dato di fatto, di cui ho già parlato in passato. Una produzione informativa imponente che si accompagna a una qualità media molto bassa. Ci arrivano un sacco di input ma pochi sono quelli realmente importanti. Il giornalismo del futuro avrà proprio questo compito, una sorta di ritorno al passato: invece di aspettare che siano le notizie ad arrivare nelle redazioni, saranno i giornalisti stessi a cercarle, selezionando le fonti e il peso delle notizie (il Wall Street Journal prova a mettere le notizie su Facebook, intanto). Perché noi cittadini sui nostri smartphone evoluti ma pur sempre piccolini cercheremo qualità in modo semplice e veloce (ne avevo già parlato qui).

Un esempio lampante di questa abbondanza di informazioni di scarsa qualità è il settore delle energie rinnovabili. Se ne parla tantissimo, si leggono notizie ovunque, in realtà il singolo cittadino ne sa molto poco. Qualche esempio:
  • Qual'è l'energia rinnovabile che contribuisce maggiormente alla produzione di energia elettrica? Non è il solare fotovoltaico né l'eolico ma, e di gran lunga, le centrali idroelettriche (16% sul 22,8% complessivo di produzione di elettricità "pulita"). Quanti articoli avete letto in merito?
  • Sapete la differenza tra pannelli solari termici e pannelli solari fotovoltaici? Niente di complicato, i primi producono acqua calda, i secondi elettricità. Qualcuno ve lo aveva mai detto?
  • Sapreste spiegare in modo semplice come le biomasse, ossia gli scarti vegetali e animali della produzione, possano creare biogas ed energia elettrica? Se sì, siete in pochissimi.  
  • Sapete che le quasi sconosciute bioenergie contribuiscono alla produzione di elettricità in Italia tanto quanto le famose pale eoliche (ognuna con il 2,7% della produzione totale)? Sono sicuro che pensavate diversamente.
  • L'incentivazione verso il fotovoltaico produce un aumento delle bollette? Sono sicuro che l'avete letto spesso, provate invece a valutare quanto dicono qui, anche solo per riflettere.
Si tratta di temi importanti, che hanno direttamente a che fare con il modo in cui produrremo energia tutelando l'ambiente e il pianeta dove viviamo. Dovrebbero essere informazioni di uso comune, invece si legge molta filosofia (specialmente dopo il disastro di Fukushima) e poche informazioni utili. Le aziende stesse che sono attive nel settore delle energie rinnovabili non sono esenti da colpe. Veicolano informazioni poco omogenee, troppo tecniche o troppo generiche, con mezzi poco adeguati agli standard di comunicazione di oggi.

Sto ultimando una ricerca sulla presenza online delle società che operano nel settore delle energie pulite. Il tutto fatto con Excel e tanto tempo extralavorativo. Volete avere qualche dato? Quella del 2010 la trovate qui. Si preannuncia qualche sorpresa, in un anno cambiano molte cose. Il dato che rimane immutato è che non c'è grande interesse a fare un certo tipo di comunicazione formativa in tema ambientale. In Italia abbiamo bisogno di cultura su questi temi perché abbiamo un patrimonio di sole, vento, acqua e biomasse enorme, tutto da sfruttare. E dobbiamo esserne consapevoli. Qualcuno nei media tradizionali ci prova pure (vedi qui, 24 visualizzazioni), con risultati non troppo esaltanti. Come disse Oscar Wilde, abbiamo "un'insaziabile curiosità di conoscere tutto, tranne ciò che vale la pena conoscere".

martedì 20 settembre 2011

Insegnando s'impara*


Mi è arrivato l'ultimo numero di Wired, molto più interessante degli ultimi perché, con perfetto ma prevedibile tempismo, parla di scuola e di formazione. Si passa dai timori del guru Jaron Lanier sul pericolo di arrivare a "pensare come macchine" alla scoperta che colossi come Google e Amazon sono stati creati anche grazie agli input di una maestra italiana nata nel 1870, Maria Montessori. Ovviamente, come spesso accade, per colpire il lettore si va a esplorare gli estremi, dalla scuola italiana ancora ferma ai gessetti da prendere dalle bidelle alle scuole americane dove studenti imparano formule trigonometriche esercitandosi liberamente su appositi siti Web. Non essendo un esperto in queste materie, mi limiterò a semplificare le cose e a portare la mia esperienza di studente (prima) e di genitore (poi), arrivando a una conclusione che sembra presa da un manuale di comunicazione d'impresa.

Un anno fa mi trovai a chiacchierare con Caterina Policaro (Catepol in rete) sul suo approccio con gli studenti, sulla loro curiosità nei confronti di un insegnante con l'iPhone che conosceva Facebook e Twitter meglio di loro. E mi spiegò la sempre valida regola della nonna: non fare o dire in rete quello che non faresti o diresti con tua nonna davanti. Un modo semplice ed efficace per spiegare la tutela della propria privacy in rete senza, per forza, ricorrere al terrorismo psicologico. I maestri che amiamo sono quelli che dicono parole che capiamo, che ci incuriosiscono, che ci coinvolgono, che ci trasmettono entusiasmo, al di là dei mezzi che usano. In quest'ottica, da studente sarei stato felice di avere in classe una lavagna interattiva multimediale (LIM) a patto che non venisse usata come una vecchia lavagna, col touch screen invece dei gessetti. Stesso discorso vale per i tablet e gli eBook scolastici del prossimo futuro. Ovvio, no? No, non lo è, vista la guerra persa in partenza degli insegnanti contro gli smartphone (un esempio qui).


Quello che dico è che la tecnologia può essere buona o cattiva, discorso ovvio, quasi banale. Tuttavia, al lato pratico, diventa tutto più complesso. Far guardare i video di YouTube a proprio figlio di (quasi) tre anni è buono o cattivo? E sapere che sa usare il mouse, l'iPad o il cellulare meglio del nonno è buono o cattivo? Non mi va di fare filosofia, mi limito a semplificare e a estendere la regola della nonna a un altro ambito: gioca con lui al computer come giocheresti con lui a pallone. Facendogli vedere come si fa, stando con lui, divertendosi con lui, stando attenti a non farsi male. Mi accorgo, ogni giorno, che le piccole lezioni che mio figlio mi da, senza volerlo, mi servono in ogni ambito della vita, in primis sul lavoro. 

La prima regola è che non esistono regole valide sempre, con chiunque e in ogni momento. Ci si adatta, giorno dopo giorno, a comunicare con lui in modo diverso, in base alle sue esigenze, con dietro un progetto a lungo termine definito ma flessibile. Rileggendo quest'ultima frase, non la si potrebbe scambiare per un perfetto approccio di comunicazione aziendale? Non penso sia un caso.

* Aforisma di Seneca (che sto citando molto ultimamente)

giovedì 15 settembre 2011

Romagnacamp: tu chiamale, se vuoi, relazioni


Come spesso accade, quando ci sono eventi troppo interessanti, la coincidenza con matrimoni e appuntamenti simili è più che probabile. Il Romagnacamp 2011 non ha fatto eccezione, purtroppo. Ma per non perdermi la possibilità di unire lavoro e spiaggia, facendo chiacchiere interessanti in totale tranquillità, ho deciso di farmi 4 ore di macchina per due ore di coworking il giorno prima, ossia venerdì scorso. In sintesi, mi sono perso tutti gli interventi del sabato, il main event, quello con le presentazioni, gli ignite e tutto il resto. Ripartirei oggi e spiego brevemente il perché. Premettendo che va oltre "la vista dal mio portatile", rappresentata qui sotto.


Descrivere come si creano e si rafforzano le relazioni non è affatto facile, io ho un esempio concreto.
Ho avuto la possibilità di parlare con persone con competenze ed esperienza notevoli in una cornice del tutto speciale, un bellissimo bar in spiaggia, il Boca Barranca. Atmosfera rilassata, temi interessanti e la possibilità di lavorare (davvero) su un tavolo tutto mio, assaporando la brezza marina e un cocktail analcolico. Un mix di cose positive difficilmente replicabili in altri posti. Per chi lavora da solo, come me, sa quanto si desideri ogni tanto fare quattro chiacchiere per ricaricare le batterie e "caricare" nuove idee nella testa. Questa è stata, in questo senso, un'occasione davvero speciale.

Oltre a fare i complimenti ad Alessandra Farabegoli e Luca Sartoni per l'organizzazione, ho avuto modo di scambiare opinioni con Gianluca Diegoli (per una volta, fuori dalla bassa modenese), di conoscere Rita Bonucchi, Nicola Mattina e Nicola Iarocci, di fare un paio di battute con Lidia Marongiu, di mangiare qualche patatina fritta con Domitilla Ferrari e famiglia, di assistere alla presentazione del libro "Viaggi in rete" fatta da Roberta Milano via Skype. Oltre a farmi quattro risate con vecchi amici, come Michele D'Alena. Il tutto, ripeto, perdendomi l'evento principale, la cui descrizione perfetta, e spassosa, l'ha fatta Nicola Bonora di Mentine. La prossima volta che non saprete definire come si creano le relazioni, prendete la macchina e andate a un barcamp del genere.

A proposito, come molti di quelli elencati sopra, l'8 e il 9 ottobre sarò al Knowcamp di Modena. Conosco bene chi lo organizza, è un evento da non perdere. Ci vediamo là?

(Photo credits: "io e Gluca ringraziamo gli sponsor" di Alessandra Farabegoli con Instagram)

martedì 13 settembre 2011

Per crescere serve equilibrio

Un interessante post di PierLuca Santoro (in uno stato di forma comunicativa strepitoso, devo dire) sottolinea come, analizzando un'impressionante mole di contenuti pubblicati su Twitter, la modalità più efficace per le aziende sia comunicare sia contenuti propri che contenuti altrui. I social media hanno proprie regole e la condivisione delle informazioni su Twitter, dove il "retweet" la fa da padrone, non fa eccezione. Il "rilanciare" contenuti altrui, ritenuti interessanti, è una delle principali regole del gioco del mondo dei Social Network in generale ma questo approccio può essere esteso a ogni contenuto aziendale, prevedendo un equilibrio costante tra la voce dell'azienda e quelle del settore dove opera.

Facciamo un esempio. Se noi analizziamo i contenuti espressi dalle aziende, troviamo spesso imprese che non fanno altro che parlarsi addosso. Sono tutte brave, efficienti e veloci. Il problema è che non spiegano in cosa sono così brave, efficienti e veloci. Queste sono "self-promoters". Dall'altra parte, specialmente sui Social Media, altre aziende non fanno altro che dare visibilità a link esterni, che parlano di settore, di mercato, di normative, di certificazioni. Tutte informazioni interessanti, per carità, ma sulle quali l'azienda non offre agli utenti alcun valore aggiunto: le stesse informazioni si potevano trovare, identiche, da altre parti. Queste sono "curators". La via di mezzo, la modalità più efficace, è quella di veicolare contenuti propri e altrui, in un equilibrio che dia una predominanza (60% circa) alle informazioni generate da altri. Spiegare in quale contesto opero, con quali regole e qual'è il mio contributo alla crescita del mio settore. Queste sono "balanced".

Appare ovvio che realizzare un equilibrio informativo, che dia predominanza sia alla qualità che alla qualità (requisito necessario per scegliere cosa dire), sia la soluzione migliore per dare un valore aggiunto significativo alle persone. Ma c'è un problema: non è affatto facile. Servono in azienda figure professionali che abbiamo le competenze, l'autonomia decisionale e la flessibilità necessarie per fare un lavoro efficace in questo senso. Esistono, oggi, dei Content Curation Manager in Italia? La cosa sicura è che le aziende, oggi, sanno neanche che esistano figure del genere. Altrettanto sicuro è che gli stagisti messi lì a gestire il sito, le bacheche di Facebook e il profilo Twitter non sono il grado di assolvere a questo compito, ovviamente non per colpa loro. Secondo PierLuca Santoro queste figure ci sono (risposta datami in diretta, ora, durante Innovatori Jam 2011, tanto per dire la potenza della rete) e sono perfettamente d'accordo. Ora sta a noi convincere le aziende che "è come andare in bicicletta: se vuoi restare in equilibrio devi muoverti" (Albert Einstein).

giovedì 8 settembre 2011

Lo strano caso dell'assassino col coccodrillo verde

La protezione del proprio marchio è sempre una priorità per ogni azienda. Ma ci sono casi in cui questa attività di tutela deve gestire casi inaspettati e causati, paradossalmente, dal proprio successo. Pare che la Lacoste, notissima impresa produttrice di abbigliamento, stia cercando di difendere l'integrità del suo famosissimo coccodrillo da una potenziale crisi d'immagine (leggi qui e qui). Il logo dell'azienda, inconfondibile, appare spesso sulle polo indossate dal pazzo norvegese che ha ucciso 69 persone il 22 luglio scorso (di cui non scrivo il nome, volutamente). Per questo, l'azienda francese, a quanto pare, sta lavorando sotto traccia per fare in modo che il killer indossi abbigliamento diverso da quello prodotto da loro. Ci riusciranno? Vedremo.

Un caso sicuramente interessante a livello di comunicazione. Risulta chiaro a tutti che non ci può essere nessun legame tra la follia omicida e una polo, di qualunque marca sia, e per questo non dovrebbe rappresentare un problema. Ma la continua presenza di immagini che accostano il celebre coccodrillo verde a un efferato assassino non può certo far piacere ai vertici aziendali. Uno dei principali tabloid norvegesi, il Dagbladet, sostiene che l'assassino indossa queste polo perché sono un simbolo di "istruzione e di un carattere conservatore". Caratteristiche per nulla negative per l'azienda che le produce, se non fossero contestualizzate nel loro legame diretto con le deliranti parole di un pluriomicida. Allora la Lacoste fa bene a cercare di convincere la polizia norvegese a trovargli un guardaroba diverso?

Dico la mia: non si può pensare di evitare casi simili. Non si può impedire a qualcuno, neanche a un assassino, di vestirsi come vuole, di bere una certa birra, di usare una particolare auto. Lo stesso protagonista di American Psycho, famoso libro di Bret Easton Ellis, descrive minuziosamente tutti i marchi dell'abbigliamento che indossa lui e quelli che incontra, quasi tutti di aziende con marchi prestigiosi e affermati, spesso italiani. Non mi pare che questo abbia creato problemi nei confronti delle società stesse, anzi la definirei pubblicità gratuita. Dato che non c'è nessun legame possibile tra il marchio e il crimine, se fossi il responsabile comunicazione di Lacoste probabilmente sottolineerei che l'azienda è vittima del proprio successo commerciale. "Le nostre polo sono talmente diffuse che vengono indossate anche da un criminale efferato. Ci dispiace ma, purtroppo, non ci possiamo fare niente". Non farei pressioni, è una non notizia: se avesse magliette di H&M o di qualunque altra marca sarebbe un assassino diverso? 

Per chiudere, dal 1933 la Lacoste continua a vendere polo dove campeggia l'immagine di un "rettile squamato, carnivoro e talvolta cannibale, che vive in laghi e paludi" (che René Lacoste mi perdoni). Se l'azienda si è conquistata la fama di produttrice di abbigliamento per persone istruite e conservatrici, evidentemente i clienti hanno guardato altre cose. Voi che ne dite?

giovedì 1 settembre 2011

La passione dell'algoritmo per la qualità

La qualità paga, sempre. Magari ci mette un po' di tempo, magari ti fa andare in bestia vedere che altra gente spende meno tempo e meno attenzione di te su molti particolari del tuo lavoro e ottiene buoni risultati. Ma se si vuol essere sicuri di ottenere un risultato, puntare sulla qualità è sempre un'ottima soluzione. Intendiamoci, può essere positivo o negativo, mica viviamo in un mondo perfetto. Ma avendoci messo tutto quello che avevi, ti porterà comunque delle indicazioni fondamentali (compresa quella che stai forse sbagliando qualcosa).

Questo assunto è particolarmente importante per i contenuti sul Web e due notizie di cronaca d'agosto portano alla ribalta l'importanza della qualità in quest'ambito. Come segnala un post del sempre ottimo Tagliablog, Google sta introducendo un nuovo algoritmo di ricerca, denominato Google Panda, che vuole aiutare gli utenti a trovare nelle loro ricerche contenuti "high quality". Un attimo: come fa un modello matematico, per quanto evoluto, a decidere quali sono le informazioni di qualità? Provano a spiegarlo qui, ammettendo alla fine che è molto, molto difficile. I parametri più interessanti per determinare la qualità tra quelli citati sono questi:
  1. Evitare duplicazioni di informazioni e testi ripetitivi e ridondanti;
  2. Evitare errori di ortografia e sintassi;
  3. Realizzare contenuti e ricerche originali, non copiati da altre parti;
  4. Evitare troppi spazi pubblicitari all'interno dei contenuti;
  5. Realizzare una completa e precisa descrizione del tema che si sta affrontando;
  6. Valorizzare gli autori dei contenuti e la loro competenza in materia;
  7. Analizzare gli input dati dagli utenti, in termini quantitativi (numero visitatori, tempo di permanenza sul sito, etc.) e qualitativi (commenti, suggerimenti, critiche, etc.).
Pur essendo sicuro che i contenuti realmente validi possano essere valutati davvero solo da una mente umana, almeno per il momento, restano indicazioni molto utili e pienamente condivisibili. Perché la via tracciata per i motori di ricerca del futuro prossimo si riassume in "diamo sempre maggiore qualità ai nostri utenti". Parlo al plurale e non è un refuso, giusto per restare coerenti col punto 2. Anche Bing, il motore di ricerca di Microsoft, sta andando nella stessa direzione. Una delle prove è questo documento, anch'esso realizzato per segnalare agli utenti l'importanza di creare contenuti di qualità per essere trovati più facilmente. I consigli sono molto simili a quelli già segnalati, si aggiunge il fatto di non mettere video troppo lunghi (concordo) e di evitare l'utilizzo di strumenti di traduzione automatica perché le lingue vanno trattate con molta attenzione (sottoscrivo).

Non voglio addentrarmi di più sulla questione, non sono un esperto di SEO e sono un accanito sostenitore dell'assunto "a ognuno il suo mestiere". Tuttavia questa ricerca di qualità nel grande mare dei contenuti che è, oggi, Internet non può lasciarmi indifferente. In un post di qualche tempo fa (Giugno 2010) sottolineavo come fossimo in un momento di passaggio (tra vecchi e nuovi media) ma che i contenuti di qualità erano destinati ad emergere per diventare sempre più protagonisti. Sono contento che Google e Microsoft, perennemente in guerra fredda, siano concordi su questo. L'algoritmo ha preso punti oggi ma io preferisco sempre, e di gran lunga, l'uomo, soprattutto colui che scrive quei contenuti di qualità.


Photo credits: Flickr, Beniamino Baj