martedì 20 settembre 2011

Insegnando s'impara*


Mi è arrivato l'ultimo numero di Wired, molto più interessante degli ultimi perché, con perfetto ma prevedibile tempismo, parla di scuola e di formazione. Si passa dai timori del guru Jaron Lanier sul pericolo di arrivare a "pensare come macchine" alla scoperta che colossi come Google e Amazon sono stati creati anche grazie agli input di una maestra italiana nata nel 1870, Maria Montessori. Ovviamente, come spesso accade, per colpire il lettore si va a esplorare gli estremi, dalla scuola italiana ancora ferma ai gessetti da prendere dalle bidelle alle scuole americane dove studenti imparano formule trigonometriche esercitandosi liberamente su appositi siti Web. Non essendo un esperto in queste materie, mi limiterò a semplificare le cose e a portare la mia esperienza di studente (prima) e di genitore (poi), arrivando a una conclusione che sembra presa da un manuale di comunicazione d'impresa.

Un anno fa mi trovai a chiacchierare con Caterina Policaro (Catepol in rete) sul suo approccio con gli studenti, sulla loro curiosità nei confronti di un insegnante con l'iPhone che conosceva Facebook e Twitter meglio di loro. E mi spiegò la sempre valida regola della nonna: non fare o dire in rete quello che non faresti o diresti con tua nonna davanti. Un modo semplice ed efficace per spiegare la tutela della propria privacy in rete senza, per forza, ricorrere al terrorismo psicologico. I maestri che amiamo sono quelli che dicono parole che capiamo, che ci incuriosiscono, che ci coinvolgono, che ci trasmettono entusiasmo, al di là dei mezzi che usano. In quest'ottica, da studente sarei stato felice di avere in classe una lavagna interattiva multimediale (LIM) a patto che non venisse usata come una vecchia lavagna, col touch screen invece dei gessetti. Stesso discorso vale per i tablet e gli eBook scolastici del prossimo futuro. Ovvio, no? No, non lo è, vista la guerra persa in partenza degli insegnanti contro gli smartphone (un esempio qui).


Quello che dico è che la tecnologia può essere buona o cattiva, discorso ovvio, quasi banale. Tuttavia, al lato pratico, diventa tutto più complesso. Far guardare i video di YouTube a proprio figlio di (quasi) tre anni è buono o cattivo? E sapere che sa usare il mouse, l'iPad o il cellulare meglio del nonno è buono o cattivo? Non mi va di fare filosofia, mi limito a semplificare e a estendere la regola della nonna a un altro ambito: gioca con lui al computer come giocheresti con lui a pallone. Facendogli vedere come si fa, stando con lui, divertendosi con lui, stando attenti a non farsi male. Mi accorgo, ogni giorno, che le piccole lezioni che mio figlio mi da, senza volerlo, mi servono in ogni ambito della vita, in primis sul lavoro. 

La prima regola è che non esistono regole valide sempre, con chiunque e in ogni momento. Ci si adatta, giorno dopo giorno, a comunicare con lui in modo diverso, in base alle sue esigenze, con dietro un progetto a lungo termine definito ma flessibile. Rileggendo quest'ultima frase, non la si potrebbe scambiare per un perfetto approccio di comunicazione aziendale? Non penso sia un caso.

* Aforisma di Seneca (che sto citando molto ultimamente)

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