martedì 31 gennaio 2012

Nuovo lavoro, nuovo sito, nuova vita


Arrivare in una nuova azienda ed avere carta bianca (o quasi) a livello di progetto di marketing e comunicazione non capita tutti i giorni. Mi hanno chiesto di abbandonare il mio lavoro da libero professionista dopo 2 anni belli (progetti e soddisfazioni) e difficili (burocrazia e pagamenti) per rientrare a lavorare in azienda, questa volta come fautore delle mie fortune, e non come consulente esterno. Ho chiesto di poter portare dentro quello che avevo appreso in 10 anni di lavoro e non di essere un mero esecutore di strategie altrui. Hanno accettato senza discutere e senza porre condizioni, un piccolo grande segnale del fatto che stavo facendo la scelta giusta. Come disse una volta la mia capa milanese (Grazia Bruschi), "se un'azienda ti pone troppe condizioni, evidentemente non ti vuole poi così tanto". L'ho capito solo dopo molti anni: aveva ragione da vendere.

Da tre mesi sono tornato a fare il dipendente e, devo dirlo, sto benissimo. Perché ho un mio team di lavoro (due bravissime ragazze) e mi metto in gioco anche più di prima. Ho strutturato un piano marketing e sono al lavoro su un sacco di cose, di cui la grande maggioranza sono state proposte da me. Un esempio? Il sito aziendale era troppo minimalista, diceva poco: in un mese è stato sviluppato e riempito di contenuti utilizzando il CMS (Content Management System) esistente al massimo delle sue possibilità. I responsabili dell'azienda mi hanno lasciato proporre e sperimentare, facendomi fare anche le fotografie che servivano al caso. Oggi, ancora per qualche settimana, resterà online la mia creatura. Non è il sito più innovativo ma esprime esattamente quella che è l'anima vera dell'azienda: poche parole e poche immagini, curate nel dettaglio, non scontate e costruite apposta. Cosa ne dite?

Il nuovo sito, con un CMS e un'impostazione tutta nuova, è già in stato avanzato di costruzione. E sono qui da neanche tre mesi. Risultati? Ancora è presto ma abbiamo raddoppiato visite e visitatori, che si fermano a lungo sul sito e ne leggono ogni pagina. Vero, i numeri assoluti sono migliorabili ma i segnali sono forti. Ho ricevuto molti apprezzamenti e, al tempo stesso, molti suggerimenti e segnalazioni (anche di refusi) da parte dei miei nuovi colleghi. Ogni critica è stata del tutto costruttiva e li ringrazio per questo. Tante volte mi sono sentito dire dalle aziende "no, non si fa perché non l'abbiamo mai fatto". Ora invece lavoro in un'azienda che non ha paura di provare e di imparare dai propri successi e dai propri errori. C'è ancora tantissimo da fare e la cosa strana è che ne sono contento.  

(Photo credits: la foto è mia, bella no?)

venerdì 27 gennaio 2012

Cos'è un'azienda? Parole e immagini


Sostengo da sempre che il potere delle immagini nella comunicazione d'impresa sia enorme. Questa capacità ha ovviamente un lato opposto della medaglia: l'utilizzo di foto o video non adeguati rispetto a quello che si vuole dire danneggia in modo quasi irrimediabile i contenuti testuali. L'immagine infatti si lega a meccanismi razionali ed inconsci di percezione cognitiva e a una base culturale di chi la guarda che è difficilmente da stabilire a priori ma che, sicuramente, condizionano chi la vede in modo molto potente. In un momento in cui le parole scritte svolgono un ruolo centrale nella comunicazione (pensiamo al ruolo fondamentale che hanno avuto nello sviluppo dei Social Network), le immagini possono essere decisive nell'accompagnare concetti, novità, annunci e approfondimenti in modo davvero efficace (pensiamo ai video virali).

Nella mia esperienza lavorativa ho sempre cercato di sottolineare l'importanza del rapporto tra parole e immagini, con alterne fortune. Da un lato, ho avuto grandi soddisfazioni nel convincere aziende a coinvolgere grafici, fotografi e videomaker professionisti per migliorare la loro comunicazione. Dall'altro, non sempre sono stato compreso in pieno, nel senso che non si è percepito il valore aggiunto che poteva offrire un'immagine particolare, d'impatto. Semplicemente perché si seguivano idee conservative, simili a quelle dei concorrenti, oppure perché si realizzavano "prodotti brutti", che non davano, secondo le stesse aziende produttrici, un valore aggiunto in termini di impatto visivo. In realtà, il vero motivo era una non volontà di sperimentare, di provare qualcosa di nuovo, di uscire dal seminato credendoci davvero.

Un esempio? Il video aziendale. Ne ho visti tanti, quasi tutti uguali: musichetta d'ambiente vagamente new age, logo aziendale, riprese dell'ingresso dell'azienda, poi della produzione, poi stacco sulla storia dell'impresa, poi qualche parola di qualcuno, poi prodotti, prodotti e prodotti. Sempre simili, sempre quelli. Quanti di loro mi hanno colpito? Pochissimi. Nel mio lavoro di consulente esterno, il video aziendale è una delle pochissime attività che non ho mai gestito direttamente, per volontà dei miei clienti. Ora che lavoro in un'azienda, ho messo questa iniziativa tra le priorità, perché penso che possa darci davvero una marcia in più. Mi sono chiesto: ma è davvero così difficile realizzare un video diverso dagli altri? Dopo aver organizzato un incontro in un bar di Verona con Elena Da Ros, una (bravissima) professionista del settore, mi sono convinto che ci si può riuscire. Una prova: guardate il video qui sotto e chiedetevi di che azienda stiamo parlando.

Tapì from Elena Da Ros on Vimeo.

Sì, è di una società leader nella produzione di tappi e sistemi di chiusura. Capito cosa intendo?

(il titolo del post è ispirato alla frase di Andy Warhol "Non è forse la vita una serie d'immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?")

lunedì 23 gennaio 2012

La verità bisogna sempre andarsela a cercare


La vivisezione mediatica del naufragio della Costa Concordia continua incessante (vedi aggiornamento del 25/1 alla fine del post). Tuttavia, questa ricerca della notizia a tutti i costi sulla gestione della crisi da parte dell'azienda può portare a conclusioni affrettate o a ingigantire problemi del tutto naturali per casi come questo. Come sottolineano bene Vincenzo Cosenza e Luca Perugini, il crisis management a livello di comunicazione non è stato perfetto, anzi ci sono stati errori evidenti. Tuttavia, aggiungo io, il mio voto va ben oltre la sufficienza, viste comunque le buone idee messe in campo (citate nello stesso post di Vicenzo Cosenza e nel mio di qualche giorno fa).

Sono state criticate in Rete anche le pubblicità di Costa Crociere, poco "tempestive" e "rispettose". Non ci possiamo aspettare che la società blocchi la sua comunicazione e tutte le sue campagne pubblicitarie che promuovono crociere, è il suo business. Anche in un caso drammatico come questo, volente o nolente il loro prodotto è quello. Si possono fare delle modifiche e dei ripensamenti su certi messaggi ma non bloccare tutto. A occhi esterni può apparire paradossale, è qualche volta lo è, ma c'è molta gente su una nave Costa, oggi, e non sono dei pazzi. La società ha avuto un caso enorme da gestire e continuo a dire che lo stanno facendo in modo soddisfacente, anche se non perfetto, dando aggiornamenti (quasi) quotidiani. Altri hanno altre opinioni (leggi qui) ed è giusto così, perché hanno dati oggettivi su cui basarsi (ne è nata una bella discussione su Twitter). Ma, ripeto, ci vuole calma.

Riguardo a questo, in rete è scoppiato un caso oggi. Il Daily Telegraph ha scritto che "un portavoce" della compagnia ha proposto il rimborso totale della crociera più un 30% di sconto per un'eventuale prossima vacanza alle vittime del disastro. Sorpreso della cosa, sono andato a farmi un paio di verifiche in rete e ho scoperto che è quello che l'azienda propone a chi aveva prenotato un viaggio con la Costa Concordia ma, ovviamente, non lo può più fare. Che il Telegraph abbia preso un abbaglio? Oppure la Costa, in questo momento difficile, ha avuto un'idea pessima e di cattivo gusto, equiparando le vittime di un naufragio a clienti che devono ancora mettere piede su una sua nave?

Come sempre, per analizzare bene la situazione bisogna avere calma. Qualcuno in rete mi ha detto che la Costa non ha smentito (ancora). Come diceva Navarro-Valls, una regola della comunicazione è che "non si smentisce una non notizia". Stiamo a vedere e informiamoci, perché abbiamo mezzi potenti per farlo. Ma non sempre la Rete e i quotidiani (inglesi o italiani che siano) dicono tutta la verità. Bisogna comunque andarsela a cercare.

Aggiornamento (25 Gennaio 2012)
Costa Crociere ha pubblicato ieri sul proprio blog una smentita ufficiale alla notizia proposta dal Telegraph. Voglio pensare che le mie richieste di chiarimento su Twitter, sul loro blog e via e-mail, compresa la segnalazione di questo post, abbiano avuto una piccola parte in questo. Ci hanno messo qualche giorno, è vero, ma l'hanno fatta, azione che conferma quanto detto sopra. Ora vediamo se il Telegraph reagisce e/o rettifica (richiesta che ho fatto via Twitter). In ogni caso, abbiamo le idee più chiare.

 
 

giovedì 19 gennaio 2012

Huffington Post italiano? Non è quello che ci serve


Nasce lo Huffington Post italiano. Grazie a una joint venture con il Gruppo Espresso, il famoso "superblog" online americano esporta il suo format anche nel nostro Paese, all'interno di una strategia più ampia che coinvolge i principali Paesi europei (nel Regno Unito c'è già, sta aprendo in Francia e lo farà presto anche in Spagna). Il format è sempre lo stesso: accordo con uno dei principali gruppi editoriali presenti in quello Stato, per avere un partner esperto e accreditato nei confronti dei potenziali lettori, e organizzazione di una struttura mista che comprenda giornalisti, blogger ed esperti di contenuti online. Una bella notizia? Sicuramente è interessante, vista la stasi e la crisi del sistema nazionale dell'informazione e dell'editoria. Ma, lo dico (anzi, lo ridico) subito e chiaro: non è quello che serve in Italia.

Il fenomeno Huffington Post non rappresenta l'affermazione di un progetto nuovo e rivoluzionario partito dal basso, come ProPublica. Si tratta di una macchina da guerra nata subito con personalità conosciute, mezzi importanti e un'universo di riferimento pronto a sostenerla. Nonostante tutte queste condizioni, ci ha messo 5 anni a fare utili, a fare soldi. L'Italia ha una situazione editoriale e una tipologia di lettori/utenti molto diversa da quella dei paesi anglosassoni: il modello Huff Post può essere replicato? Mi sbilancio e dico di no. Concordo pienamente con quanto ha scritto qualche tempo fa PierLuca Santoro (mia fonte illuminata su questi temi): non abbiamo bisogno di altri modelli di sfruttamento né di soluzioni “pret a porter”, ma di un progetto che possa portare a un cambiamento culturale e organizzativo del tutto italiano, non importabile.

Ricordiamo che HuffPost fa convivere uno staff di 150 giornalisti (pagati in dollari) con 9.000 blogger (pagati in... visibilità), modello che ha suscitato parecchie perplessità e qualche class action. Siamo sicuri che è quello che vogliamo? In più, i lettori/utenti italiani hanno caratteristiche molto diverse da quelle di americani e inglesi (sia a livello di cultura dell'informazione che di numero di copie comprate). Infine, il modello comunicativo, molto urlato (basta guardare le dimensioni dei titoli degli articoli principali, anche se variano in base al gradimento degli utenti) e con un home page enorme (poco usabile e con uno scroll infinito), è del tutto contrario a quella che definisco "semplicità di lettura". Nella sostanza, difficilmente sarò un lettore di HuffPost.it. Perché non mi piace il suo modello, non è quello che cerco. Se invede nascesse un ProPublica italiano, sarei il primo a sostenerlo: di questo ne abbiamo proprio bisogno.


Non so se iniziative puramente italiane, come Il Post o Lettera43, diano una risposta più giusta alle nostre esigenze di informazione. Quello che penso è che un progetto di successo deve avere tre caratteristiche fondamentali: semplice da leggere (l'Huffington Post non lo è), gratuito (almeno per la grande maggioranza dei contenuti) e personalizzato (ognuno deve decidere i contenuti che gli interessano). Come ho già detto, stiamo vivendo oggi il futuro dell'informazione ma capire dove andremo è difficile. Come disse quel genio di William Gibson: "ogni futuro immaginato diventa obsoleto come un gelato che si scioglie mentre uscite dalla gelateria all'angolo".

mercoledì 18 gennaio 2012

Una tragedia che convive con un caso di successo


"Volete i nostri soldi? Noi vogliamo la vostra attenzione" dice la tesi 78 del Cluetrain Manifesto, che sintetizza come stia nel rapporto tra azienda e persone il vero valore aggiunto del marketing e della gestione dei clienti. Di case history negativi ne abbiamo visti tanti, ora però ne abbiamo uno molto positivo, quello di Costa Crociere. Il mio intento non è descrivere questo caso e analizzarlo (l'ha fatto, in modo favoloso, Roberta Milano sul suo blog e anche PierLuca Santoro) né sottovalutare la portata della tragedia (basta leggere questo post fino alla fine). Voglio solo dare spazio proprio a esempi che esprimono la forte relazione esistente tra l'azienda e le singole persone. Senza metterci parole mie, parlano già da soli.
  • "Le vostre colpe? Sono uguali allo ZERO. L'errore umano non inciderà sulla fiducia che vi siete guadagnati in questi anni" (commento sul blog aziendale).
  • "Sono vicino a tutti voi, alle famiglie degli scomparsi e ai dispersi. Purtroppo questo periodo non è positivo per l'Italia. Siamo un GRANDE PAESE e ne verremo fuori" (altro commento sul blog aziendale).
  • "Tutto si può dire. Ma mi pare che sarà caso di scuola per crisis management. Al momento gestita molto bene, a mio parere" (commento su Twitter, @limprenditore).
  • "@ è disponibile il nostro numero diretto 848.50.50.50 per dare le informazioni che sono a nostra disposizione" (risposta diretta dell'azienda su Twitter alla domanda se ci fosse un numero verde per le famiglie per avere maggiori informazioni).
  • "Ciao, ti va di inviare le foto del tuo viaggio a clbog@costa.it? Potresti essere protagonista del Blog Costa per un giorno! ;D" (messaggio a uno specifico utente Twitter, che non pubblico perché non lo conosco, prima dei fatti di cronaca di questi giorni, fatto che conferma che usavano bene questo strumento anche prima).
  • "io sn stata su costa concordia a luglio..meravigliosa..nn ho parole x questa tragedia..mi spiace tanto e sn vicina a tutto l'equipaggio e le famiglie colpite da questo triste evento" (commento sulla pagina dell'azienda su Facebook, citato nel post di Roberta Milano).
  • "[...] mais je resterai toujours fidèle à Costa !!... un pensiero dalla Francia a tutti !!" (altro commento sulla pagina aziendale di Facebook)
Ovviamente non mancano i commenti negativi o gli errori, due su tutti.
Stiamo vedendo, in diretta, la nascita di un caso di successo nella gestione di una crisi e della relativa comunicazione, in un caso senza precedenti nel nostro Paese. Gli errori, per carità, ci sono e magari domani mi rimangerò tutto ma, fino ad ora, l'azienda ha operato al meglio. Ovviamente, non è la cosa più importante: ci sono vittime, ci sono tragedie familiari, ci sono persone disperse, la comunicazione viene molto, molto dopo nella scala delle priorità a cui dare attenzione. Ma io qui dentro scrivo di questo, i miei sentimenti li tengo per me, e ritengo giusto sottolineare il comportamento di Costa Crociere. Quello che è certo è che provo quasi incredulità nel leggere e ascoltare certe cose successe a bordo. "Ricordatevi sempre che siete comandanti di uomini: non è affatto facile e non tutti lo possono fare". Quanto aveva ragione quel Tenente Colonnello degli alpini a Belluno.

(la foto si riferisce a un altro celebre naufragio, quello della Andrea Doria, e al suo capitano, Piero Calamai. Il numero limitato di vittime e il completo successo delle operazioni di soccorso fu merito del comportamento eroico dell'equipaggio dell'Andrea Doria e del suo comandante Piero Calamai, che prese rapide e difficili decisioni in momenti a dir poco drammatici. Anche in quel caso, tragedia e caso di successo accaddero contemporaneamente).

lunedì 16 gennaio 2012

Bollette più care: un'analisi della comunicazione


Internet ci offre la possibilità di essere bombardati di notizie ma anche di poterle verificare direttamente, cosa che quando le si leggevano solo sui giornali o le si vedevano in TV era molto più difficile. Un fattore non da poco per analizzare la comunicazione, e la veridicità delle analisi, legata a un annuncio o un fatto (vedi sotto una riflessione personale sul tema di Gianluca Diegoli su Twitter e qui un post di Alessandra Farabegoli sui limiti dei giornalismo odierno).


Il Web ci permette di verificare le fonti, analizzare le varie ragioni e farsi un'opinione molto più ragionata. Non capire tutto ma almeno saperne di più. Se non lo facciamo oppure se iniziamo a parteggiare aprioristicamente per una parte o per l'altra, è colpa della nostra pigrizia, anche intellettuale. Prendiamo un esempio chiaro, ossia l'aumento delle bollette di gas ed elettricità (e non il naufragio della Costa Concordia, notizia sul cui crisis management Roberta Milano ha scritto un ottimo post). Si tratta di un settore che seguo molto da vicino, soprattutto per quanto riguarda l'impatto delle rinnovabili. Analizziamo come questa notizia è stata gestita dalla fonte e dai vari stakeholder.

Fonte
L'Autorità per l'energia elettrica e il gas annuncia che i persistenti rialzi dei prezzi previsti per il primo trimestre 2012 (+4,9% per l'elettricità e +2,7% per il gas) sono dovuti "ai persistenti rialzi delle quotazioni petrolifere e, per l’energia elettrica, anche gli incentivi alle fonti rinnovabili e i connessi costi per adeguare i sistemi a rete al nuovo scenario di produzione decentrata e intermittente" (qui il comunicato stampa). Insomma, 32 Euro in più per il gas e 22 Euro in più per l'elettricità, all'anno. Per l'energia elettrica, gli incentivi delle fonti rinnovabili avrebbero un ruolo determinante per questi aumenti, mentre per il gas il colpevole principale è il costo delle materie prime. I media danno visibilità a questo annuncio (vedi un esempio qui, basta cercare con Google per averne altri), sottolineando che abbiamo tariffe più alte della media europea, come conferma anche il Presidente della stessa Autorità per l'energia elettrica e il gas.

Stakeholder
Assosolare, l'associazione che riunisce i produttori attivi nel settore fotovoltaico in Italia, reagisce alla notizia, verificando i dati e dando il suo parere (non c'è il comunicato stampa/dichiarazione ufficiale sul sito ma c'è la rassegna stampa che ne evidenzia indirettamente il contenuto). Loro sostengono che le fonti tradizionali hanno un impatto più decisivo delle rinnovabili per l'aumento, confermando però che queste ultime hanno un ruolo importante (leggi qui su Tekneco). Allo stesso tempo, dicono che l'andamento dei costi delle fonti fossili è molto più incerto (vero) e che il fotovoltaico non produce CO2 (vero ma solo in parte, perché la produzione di pannelli non è a emissioni zero).

ENI SNAM Rete Gas (che, ad oggi, ha comunicati stampa fermi a Dicembre 2011) non sembrano commentare ufficialmente la notizia e, come appare molto probabile, non si separeranno* (vedi qui e qui) anche se si continua a parlare della cosa. Le colpe degli aumenti, secondo gli addetti ai lavori, sono sempre legate alla crescita dei prezzi delle materie prime e delle tasse collegate.

Giudizio
Indubbiamente, gli investimenti nelle rinnovabili fanno alzare i costi ma si tratta sostanzialmente di investimenti. Tuttavia, come dice giustamente Massimo Mucchetti sul Corriere, arriva "un salasso in bolletta senza nemmeno costruire una forte industria manifatturiera nazionale di settore come, invece, si è fatto prima in Germania e poi in Cina". Per quanto riguarda il gas, lo stesso prodotto (russo) dello stesso tubo lo paghiamo più di altri per i margini dell'ENI, come detto molto chiaramente nell'articolo di Mucchetti. Qual'è il comune denominatore dei due aumenti? La mancanza di un piano industriale serio e adeguato da parte del Governo, azionista di ENI, ENEL e Terna. Magari è una conclusione che si poteva prevedere a priori, ma ci sono conferme oggettive (e si trovano altre interessanti notizie). L'analisi della comunicazione ha portato i suoi frutti, ora dovrebbero seguire azioni concrete. Incazzarsi davvero, per esempio. Mica lo possono fare solo i tassisti.

* Aggiornamento del 20 Gennaio: ENI e SNAM si separeranno per decreto. Ero stato troppo pessimista.

giovedì 12 gennaio 2012

Una trovata geniale: dire la verità

 

Da sempre sostengo che la sincerità paga nella comunicazione (vedi qui e qui). Oggi ho trovato un bel post che condivido in toto a riguardo e che mi ha fatto ulteriormente riflettere. Cita espressamente un caso molto singolare: la DDB, una delle agenzie pubblicitarie più famose al mondo, narra che il loro primo cliente, il titolare di un grande magazzino, ebbe "una trovata geniale, ossia dire la verità". Loro furono gli inventori della campagna di comunicazione del Maggiolino della Volkswagen, entrata di diritto nella storia della pubblicità (foto sopra), non un'agenzia qualunque. Ritengo che quella trovata geniale, degli anni '60, rimanga validissima ancora oggi.

Tanti dicono che per un'azienda dire sempre la verità non sia possibile. Concordo, ma l'approccio da usare è diverso: non si può essere sinceri su tutto (se la vendemmia va male, non ci si può aspettare che un'azienda vitivinicola lo ammetta candidamente) ma quello che si decide di comunicare deve essere sempre veritiero e trasparente. In quest'epoca in cui fare verifiche e controlli attraverso Internet è molto facile, a patto di averne tempo e voglia, l'onestà può essere davvero un valore aggiunto fondamentale per avere un vantaggio competitivo. Perché implica la volontà di farsi conoscere mettendosi sullo stesso piano dei clienti, rispettandoli, creando un rapporto di fiducia reciproco che oggi è difficile da costruire. Non è facile, diciamolo, visto che colossi con decine di esperti di comunicazione fanno disastri in quest'ottica (basta guardare le gaffe e le omissioni di BP nel 2010 mentre innaffiava di petrolio mezzo Golfo del Messico).

Si può sempre partire dalle piccole cose. Ikea ha fatto scuola nel comunicare ai clienti il ritiro volontario di prodotti potenzialmente pericolosi, anche senza la necessità di un incidente (qui i numerosi casi). Questo trasmette al cliente un senso di attenzione e responsabilità molto positivo, che si traduce in una maggior sicurezza nell'acquisto di altri prodotti. Non li potevano ritirare e basta, senza dire nulla per non danneggiare la propria immagine? Certo, ma preferiscono essere trasparenti e sinceri. Ho avuto la fortuna di partecipare a una campagna analoga, collaborando con Lexmark per il ritiro di alcuni modelli di stampante potenzialmente difettosi (non c'era stato alcun incidente). Uscirono sui media molti articoli (uno è qui), che furono molto apprezzati da giornalisti e clienti. Questo approccio può essere utilizzato in molte altre attività, tra le quali quelle che sto gestendo nella mia nuova azienda. Come dice (a sorpresa) Seth Godin, "all marketers are storytellers, only the losers are liars".

giovedì 5 gennaio 2012

Non è mai facile fare bene le cose

L'ospedale ha un grande vantaggio collaterale: permette di leggere tanto. Io sono nella struttura ospedaliera di Modena perché la mia piccola è stata molto male: ora va decisamente meglio e allora finisco molti libri, standole vicino. Ho appunto terminato "La caffettiera del masochista" di Donald A. Norman, volume prestatomi da un collega di lavoro dopo la recente morte dell'autore, che conoscevo di fama ma di cui non avevo mai letto nulla. Un libro illuminante che spiega, in modo semplice e originale, come tanti errori quotidiani derivino da un cattivo design delle cose che usiamo, non da una nostra inefficienza (una bella botta anche per la mia autostima).

La semplicità, sia a livello comunicativo che in generale, è mio pallino (vedi qui e qui) e questo libro mi ha dato molti spunti a riguardo. "I progettisti non sono utenti tipici. E infatti non notano i nostri stessi problemi. Perché loro diventano talmente esperti delle loro creazioni che non capiscono gli aspetti che possono creare difficoltà". Una tesi semplice ma chiarissima per capire l'insuccesso di tanti prodotti odierni, potenzialmente ricchissimi di applicazioni ma che sono difficili da usare nelle funzioni che ci servono davvero. E questa tesi è scritta su un libro del 1988, cioè 24 anni fa. Molto prima che gli iPod facessero tornare in auge il concetto di semplicità d'uso per gli utenti. Lo stesso concetto, ossia la difficoltà che trova "chi fa" nel mettersi nei panni di "chi usa", vale per la comunicazione. Spesso si descrivono e viene data grande visibilità ad aspetti che interessano soprattutto all'azienda che li produce, non ai clienti che li usano.

Accade sovente che quando si vogliono comunicare soluzioni tecnologiche, si presume che gli utenti/clienti siano "patiti di tecnologia" (come disse una volta Steve Wozniak) e capiscano al volo. Non e così. Loro vogliono capire come un prodotto li possa aiutare e sono costretti a basarsi sulle opinioni, molto personali, di un venditore, non sulle informazioni date da chi quel prodotto l'ha progettato e prodotto. E soprattutto, come sottolinea Norman, "l'innocenza perduta" dalle aziende non è facile da riacquistare. Per questo è necessario che i progettisti lavorino in team con persone con competenze molto diverse. Così è più semplice evitare gli errori, anche banali, dato che ci sono molte teste che lavorano, pensano e controllano allo stesso tempo. Perché "non è mai troppo facile fare le cose bene". E il libro, che consiglio a tutti, lo spiega molto meglio di me.