giovedì 8 marzo 2012

La voce dell'azienda


Sul libro che sto scrivendo, che parlerà di come creare contenuti per promuoversi su Internet, ho ripetuto più volte che un'azienda ha una voce propria, unica, inimitabile. Il problema è che spesso rinuncia a parlare come sa per adeguarsi a regole e mode del momento. Insomma, cade nella "sindrome del timido alla festa": imita il modo di parlare di quello più "ganzo", risultando poco credibile e non facendo colpo sulla ragazza che sogna. Per un'azienda, questa voce deve essere più o meno la stessa per ogni sua parte, per ogni sua filiale. Non uguale ma simile. Le peculiarità vanno rispettate, così come variano gli interlocutori o gli stakeholder ai quali ogni divisione o sede si rivolge. Però ci deve essere un fattore comune che fa capire all'esterno che, pur avendo caratteri diversi, si è della stessa famiglia, ossia un nucleo serio, affidabile e che sa quello che fa. Con regole chiare e condivise.

Un articolo che ho letto ieri parla di questo in termini di User Interface. Spiega come molto spesso settori diversi non si parlano e offrono "prodotti" diversi (sito Internet e sito ottimizzato per il mobile senza alcuna affinità) a chi è fuori dai loro cancelli, con un unico risultato sicuro: creare confusione e disorientamento. Agli utenti finali non interessa come la società sia organizzata, si aspettano di avere a che fare con organizzazioni unificate e omogenee, nelle quali il valore del brand sia uniformemente distribuito in ogni parte e ufficio. Certamente è vero che stiamo vivendo un periodo di grande evoluzione nel rapporto tra Web, design, contenuti e modalità di relazione con le persone online. Non è facile trovare modelli di riferimento validi per tutti. Ma, come si dice nell'articolo, il modello dei compartimenti stagni non funziona più. Anche perché le sfide, a livello di comunicazione, sono e saranno sempre più difficili in un mondo così interconnesso e veloce, dove si deve scindere tra voce aziendale e voce personale. Con un unico comune denominatore: dire la verità (lo scriveva già il Guardian nel 2009).

Le persone che lavorano insieme devono parlare, confrontarsi e decidere procedure comuni, linee guida che devono poi essere declinate in attività specifiche. Questo ovviamente presuppone una consapevolezza organizzativa molto avanzata. In questo, noi italiani siamo incredibilmente favoriti: il 94,7% delle imprese è sotto i dieci dipendenti. Poche persone da coordinare, quindi. Se le aziende non usano una voce sola, è per una mancanza di consapevolezza e di cultura della comunicazione. I responsabili della produzione, delle vendite, del marketing e del CRM devono parlare più e più spesso sulle strategie da portare avanti. Esempi pratici? Evitare di perdere ore per fare presentazioni di 50 slide, organizzando invece workshop o brainstorming sulle prossime strategie. Far vedere un prototipo del prodotto a vari responsabili aziendali e chiedere loro cosa ne pensano. Una voce aziendale forte richiede consapevolezza dei propri mezzi, sicurezza di sè e obiettivi chiari. Tutte cose che piacciono molto ai clienti (e, mi dicono, anche alle ragazze alle feste).

A proposito, buon 8 marzo a tutte le donne che mi leggono (la foto di Sister Act, del tutto casuale, pone un interrogativo: chissà se arrivano le mimose anche alle suore, visto che, come dicono nel film, sono sposate col "pezzo grosso").

2 commenti:

  1. E' vero, succede, e non è bello.
    Nella mia poca esperienza, però, mi son fatta l'idea che capiti soprattutto nelle aziende grandi, nelle quali è alto tasso di gerarchie e burocrazia. Lì, se un settore ha il desiderio o la necessità di dire qualcosa all'esterno o anche solo ai colleghi di altri ambiti deve aspettare mesi prima di avere le autorizzazioni da una lunga serie di persone: il capoufficio, il caposettore, il responsabile comunicazione ecc. Nel frattempo la notizia invecchia e la voglia di comunicare evapora rapidamente. Quindi le strade sono due: o fanno di testa loro, correndo i rischi che tu dici; o lasciano perdere, e molta conoscenza utile va perduta.
    Un peccato per loro e una faticaccia per i consulenti esterni...

    Ah, grazie per gli auguri!

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  2. Hai ragione, nelle grandi realtà accade più spesso ed è anche più comprensibile, come dice anche Mauro Bosio di Unicredit nel "nostro" articolo del Corriere.it (http://nuvola.corriere.it/2012/03/06/nuove-professioni-cosa-fa-il-web-project-manager/). Il problema è che talvolta, e non così raramente, anche le PMI nel loro piccolo si irrigidiscono. Spesso il Presidente pensa che la sua impresa coincida in tutto e per tutto con la sua persona. Una faticaccia fargli cambiare idea, non solo per i consulenti esterni.

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