mercoledì 18 luglio 2012

Un'immagine vale più di mille foto


Da sempre, sono dell'idea che una foto vale più di mille parole. Mica sono il solo, per carità, ma sono un accanito sostenitore di questa tesi e la metto in pratica mettendoci più tempo a scegliere le foto a corredo dei post che a scrivere gli stessi. Oggi, però, ho un leggero ma pesante conflitto di interessi. Vivo a Mirandola, zona devastata dai recenti terremoti, e la tentazione di documentare a dovere questo momento particolarissimo e drammatico mi è venuta molte volte. Sono già stato testimone diretto degli avvenimenti (un esempio qui, ma anche la foto qui sopra) ma sempre con pulsioni sporadiche e spontanee, mai con premeditazione. Per cui capisco bene motivi e obiettivi di campagne e progetti che vogliono raccontare la mia realtà odierna attraverso le immagini, come questa. Però, ripeto, ho un conflitto di interessi: essere dalla parte di chi guarda e, allo stesso tempo, essere dalla parte di chi è guardato.

I giorni successivi al primo terremoto giravo per il centro storico della mia città. Non essendo ancora zona rossa, si poteva girare abbastanza liberamente. C'erano decine di persone che fotografavano tutto. Molti di loro erano là esclusivamente per quello: documentare. Non erano cittadini, non erano là per dare una mano, erano là per fotografare, punto. E io ho provato un senso di leggero disgusto, lo ammetto. Vedere gente che scattava senza tregua verso case di persone che erano là a raccogliere le loro cose, che cercavano di salvare il salvabile, tra cui la loro tranquillità, mi ha dato fastidio. Perché io, forse per la prima volta, ero dall'altra parte dell'obiettivo. Ho pensato alle decine di foto che vediamo tutti i giorni di gente in perenne emergenza, in povertà, in disgrazia e penso cosa possono provare loro nel vedere chi li fotografa. Quello che provo io alla millesima potenza.

Non voglio schierarmi perché non ha senso. Nessuno dei due, né il fotografante né il fotografato, fa qualcosa di sbagliato. Però il primo forse dovrebbe avere un approccio diverso, più attento anche al lato umano e relazionale. Spesso la voglia di scattare viene prima della voglia di capire. Si cerca la foto ad effetto di un essere umano triste, piangente, disperato in una condizione difficile perché colpisce l'occhio di chi guarda. Ma guardiamo bene prima l'occhio di chi fotografiamo: un'immagine che non viene cristallizzata su pixel ma che vale più di mille, belle foto. Spesso si chiama emozione.

P.S. A un mese e mezzo dai terremoti, quasi tutti siamo ancora in tende, container e strutture momentanee. Perdonateci, siamo ancora un po' suscettibili.

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