venerdì 11 gennaio 2013

La moda del fact checking

E così il fact checking, tema praticamente sconosciuto un anno fa, ora è diventato di moda: si fa per i politici, per le trasmissioni TV, per i libri gialli e per tante altre cose. Lo si fa su tutto, il che non è affatto un male in sé ma, come ogni moda che si rispetti, non ha un equilibrio, non ha una struttura, non ha una logica univoca. Io da tempo sono appassionato di fact checking (qui un esempio), perché ritengo che sia uno dei cardini sui quali si deve basare il giornalismo e l'informazione del futuro. In un periodo di enorme abbondanza di informazioni, un punto di riferimento riconosciuto che ci dia garanzie sulla veridicità delle notizie (attenzione a parlare di "verità") ci serve disperatamente. La mia perplessità nasce però dal fatto che il fact checking non è per tutti: serve formazione, esperienza, metodo, tutte cose che ho già scritto e presentato insieme a Pier Luca Santoro quasi un anno fa.

Per questo, mi fa piacere vedere che tanta gente si è appassionata a questo tema, che non è affatto nuovo (la verifica dei fatti e delle fonti è uno dei cardini del giornalismo fin dalla sua nascita) ma che ha una rilevanza nuova, moderna. Tuttavia, il fact checking, ripeto, è arte difficile. Il primo problema è il cherry picking: si sceglie di analizzare alcuni fatti, ignorandone altri, perché ci conviene in base alla tesi che vogliamo dimostrare o smentire. Poi ci manca un peso da dare a ogni singola verità e, caso ancora più interessante, a ogni singola bugia: ce ne sono di veniali e di gravi, come giudicarle? Infine, c'è un giudizio finale da dare, un metro di valutazione comprensibile da chi ci legge, come i "pants on fire" di PolitiFact o i Pinocchios del Washington Post

Insomma, come ho già detto più volte, il fact checking è un'attività troppo complessa per farla fare agli utenti, a prescindere dalla loro buona volontà. Questi possono invece essere fondamentali per aiutare i fact checker a fare un buon lavoro. Pur essendo molto contento che se ne parli, attendo impaziente che qualcosa si muova davvero nel giornalismo italiano in questo senso (come qui). Come siamo messi oggi? Che una bufala conclamata e pubblicizzata, come #cutforbieber, sia ancora viva e vegeta su prestigiose testate online. Senza rettifiche né aggiornamenti.

 

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