lunedì 7 gennaio 2013

Tre strade per il futuro dell'informazione

Che il futuro dell'informazione lo stiamo vivendo l'ho scritto qualche tempo fa. Certo è che dopo 2 anni non è emerso alcun modello vincente e sostenibile che faccia prevedere, oltre ogni ragionevole dubbio, quello che sarà il domani dell'editoria. Quello che abbiamo visto sono alcuni esperimenti che si sono rivelati insostenibili, come il quotidiano Daily di Murdoch morto precocemente per la (avventata) scelta di legare il proprio modello di business alla fortuna di un solo dispositivo, il tablet (anzi, l'iPad). In Italia, recentemente, abbiamo visto il caso di Pubblico, deceduto dopo soli 100 giorni per cause ancora da accertare (mi pare impossibile una totale mancanza di un business plan elementare). Ma non voglio fare un body count, solo sottolineare come sia difficile trovare un modello che funzioni davvero dopo il crollo dell'equilibrio editore-redazione-pubblicità che ha resistito per più di un secolo (qui un ottimo post di scenario, per approfondire la cosa).

A livello generale, stanno emergendo tre modelli alternativi che hanno come protagonista assoluto l'online. Come sanno quelli che mi leggono, ritengo che la morte della carta (e dei ricavi da lei generati) sia tutt'altro che accertata e sposo in pieno le convinzioni di Pier Luca Santoro in merito. Tuttavia, dovendo guardare al futuro, le ipotesi, volutamente molto semplificate, sono queste:
  • Modello Huffington Post: i contenuti sono gratuiti ma generati da pochi giornalisti (pagati in moneta) e da una miriade di collaboratori/blogger (pagati in...visibilità). Da dove vengono i ricavi? Dall'advertising, dal fatto di contare su una redazione snella e poco costosa rispetto alla quantità di contenuti generati. Ad oggi, questo modello può essere scelto da editori con alle spalle un business plan consistente che può permettersi di operare per anni senza generare ricavi (l'HuffPo USA ci ha messo 5 anni a farlo). Un altro problema è la perdita di controllo dei contenuti (generati dai collaboratori), che porta a possibili problemi di fact checking e, quindi, di valore dell'informazione (vedi il caso Forbes).
Sono tre possibili strade, dalla più convenzionale alla più innovativa. Magari la soluzione non sta ancora in questi modelli però una riflessione si può fare a livello di modello sostenibile di informazione. I primi due sembrano destinati a editori con spalle large, con budget consistenti e brand molto pesanti. Il terzo potrebbe invece adattarsi anche a realtà più piccole, puntando a fare gruppo e a concentrarsi su iniziative più innovative per attrarre lettori. Il mio tifo si concentra sicuramente sul terzo modello, quello più attento alle esigenze del lettore e non solo al proprio business. Ma stiamo a vedere, la partita è apertissima.

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