mercoledì 27 febbraio 2013

Elezioni e lezioni


Prendo le elezioni come spunto (mi sono già bruciato nelle previsioni, basta così) per riflettere su alcune idee utili anche per la comunicazione aziendale, non solo quella politica. Innanzitutto, è significativo notare una cosa (come fa Giovanna Cosenza): i leader vincitori sono comunicatori esperti, che hanno esperienza diretta nella progettazione e realizzazione di una campagna in modo mirato e continuo, mentre quelli perdenti no. Una lezione che userò spesso nel mio lavoro: la comunicazione paga, anche in Italia dove non c'è cultura della comunicazione (un mio pallino, ecco un esempio). Non è solo pubblicità, non è una cosa brutta a priori (come spesso viene frettolosamente giudicata), è un elemento di successo o di insuccesso come un altro.

Facciamo un gioco. Facciamo finta che i tre partiti protagonisti siano tre aziende, sul mercato, e vediamo come apparirebbe questo scenario ipotetico, molto semplificato ma interessante.

Azienda leader di mercato
Riconosciuta da tutti come la società di riferimento, a causa anche delle pessime idee avute dai principali concorrenti nei mesi precedenti, sceglie di utilizzare un approccio conservativo e di attesa. Tiene le posizioni, forte del suo posizionamento. Decide di organizzare la campagna di comunicazione coi suoi tempi, non quelli del mercato, presentando i propri prodotti migliori in un periodo quasi morto per le vendite. Vede che i competitor si stanno attrezzando per presentare soluzioni rivoluzionarie e decide di giocare di rimessa, mettendo indirettamente in dubbio la qualità dei prodotti altrui senza però annunciare alcuna novità concreta e di rilievo. I messaggi sono confusi, poco strutturatiSigla partnership comode con altre aziende che non portano però valore aggiunto, senza provare a collaborare seriamente, e da subito, con società con prodotti complementari in grado di farle ampliare l'offerta verso nuovi potenziali clienti. Punta con decisione sulla comunicazione online ma seguendo le mode senza una strategia, delle tempistiche e degli obiettivi definiti. Alla fine paga il suo immobilismo in modo pesante.

Azienda ex leader di mercato
Negli anni precedenti ha sbagliato tutto, dalle strategie di sviluppo dei prodotti a quelle di vendita. I principali analisti tingono previsioni molto buie su fatturato e utili, il nuovo management non funziona e i prodotti non vendono. Cosa fa allora? Il Presidente storico, vedendo l'immobilismo del leader di mercato, decide di rischiare il tutto per tutto e decide di sviluppare soluzioni nuove e innovative. Riduce al minimo le fasi di R&S e test per presentarle subito sul mercato. I prodotti sono numerosi, vengono annunciati "sulla carta" ma in serie, con messaggi molto precisi e tempistiche selezionate in base al momento più propizio per le vendite. Si scelgono i canali tradizionali che si conoscono molto bene, perché i loro clienti seguono principalmente quelli. Questo approccio costringe la società leader di mercato a reagire, mettendo in dubbio la qualità e l'affidabilità di queste soluzioni. L'attenzione del mercato però si sposta su queste novità. I primi risultati gli danno ragione: il fatturato rimane in calo ma c'è un'inversione di tendenza nelle vendite.

Azienda che entra nel mercato
Una società nuova, poco più di una startup, decide di affrontare i due colossi, puntando su numerose idee nuove, quasi rivoluzionarie nei concetti e nel modo di svilupparli. La strategia di comunicazione punta su due messaggi prioritari: la messa in discussione dello status quo del mercato, definendo le due storiche leader di mercato poco innovatrici, e proposta di numerose soluzioni nuove, alcune semplici e altre forse troppo innovative. Punta con decisione su una nicchia sempre più ampia, ossia i clienti delusi dalla poca innovazione dei prodotti disponibili sul mercato, e propone soluzioni alternative a diverse fasce di prezzo. Il target di riferimento sono clienti giovani e disponibili a spendere un  po' di più. I costi per la comunicazione vengono ridotti al minimo, portando avanti una strategia chiara e semplice: comunicazione diretta (eventi in serie) e digitale (comunicazione online strutturata e attenta), snobbando i canali tradizionali, come la pubblicità sui giornali e in TV. Le relazioni con i potenziali clienti sono la prima priorità, senza seguire mode predefinite. Il mercato premia l'innovazione e l'audacia, le vendite sono ben al di sopra delle aspettative.

Questo è un gioco, ovviamente, ma alcune lezioni possono essere molto valide per numerose aziende. Sintetizzando il cosa fare: analizzare il mercato, strutturare una strategia, porsi degli obiettivi, prendere decisioni autonome, non seguire le mode. E osare. L'ultima è la più difficile ma paga, eccome se paga.

(Photo Credits: mio omaggio a Banksy preso da Unhurth)

giovedì 21 febbraio 2013

Fare e Disfare

Dell'affare Giannino sapete già tutto. Critiche sacrosante. Solo quattro considerazioni a margine, di cui due sotto forma di tweet.


Dire la verità paga, sempre. La credibilità è quello a cui ci dobbiamo aggrappare per tenere duro in questa tempesta comunicativa. E se millanti due lauree, ossia anni di studio, e cerchi scuse indifendibili (colpa di Internet, degli stagisti, etc.) non te la perdono, punto. Anche se sei bravo.


Giannino (classe 1961) lascia, arriva Silvia Enrico (classe 1976). Una con idee precise, pare. Che tutto il male non venga per nuocere?

Aggiornamento del 21 Febbraio, ore 17.30.
Riguardo alla prima riflessione, pare che qualcuno ci fosse già arrivato, ben prima di Zingales: gli utenti di Wikipedia ci avevano fatto una bella discussione in merito. Niente da dire: bravi.

martedì 19 febbraio 2013

La formazione è conversazione


Il mio corso di formazione su come promuoversi mediante Internet in ACTA è andato bene. Per me sicuramente e, penso, anche per chi è intervenuto (aspetto feedback diretti, che probabilmente pubblicherò,  ma le sensazioni erano molto buone). Lo voglio dire perché io non sono "un formatore": ho sempre trasmesso quello che sapevo sul campo, dentro un ufficio o una fiera. L'aula è un ambiente che conosco ma che non mi è così familiare, semplicemente perché ho fatto un'altra strada. Questa occasione è stata importante per pensare alle 4 ore (interminabili, pensavo) che mi aspettavano per la presentazione dei miei argomenti e capire cosa volevo fare, a modo mio.

Magari sono cose ovvie per chi è abituato a questo tipo di corsi ma il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare, diceva Arthur Conan Doyle. Nel mio piccolo, condivido in pieno. Ecco le mie semplici linee guida:
  • Presentazione: ho illustrato brevemente, ma non troppo, chi sono. Senza titoli né ruoli, semplicemente raccontando la mia storia. Di ex stagista, ex co.co.co, ex dipendente, ex disoccupato, ex libero professionista e, attualmente, di nuovo dipendente. Di un percorso di 15 anni all'interno della comunicazione, dalla carta delle brochure ai bit dei siti Internet, dai comunicati stampa ai tweet. 
  • Comprensione: ho dato 5 minuti alle 14 partecipanti (sì, tutte donne) per presentare loro stesse, capire cosa facevano e da dove venivano, le loro certezze e i loro dubbi. Spesso quei 5 minuti si sono allargati (loro pensavano di restare abbondantemente dentro il limite all'inizio) ma questo ci ha permesso, a tutti non solo a me, di capire che gli obiettivi e le difficoltà erano simili tra loro, anche se non uguali. Una bella e semplice lezione di realtà spicciola, rara e preziosa perché quasi sempre priva di autoreferenzialità.
  • Lezione: ho iniziato la presentazione vera e propria dopo 40 minuti dall'inizio del corso (magari è un record), facendola andare per conto suo, senza seguire le slide. Ho lasciato piena libertà di interrompermi, per farmi domande o chiedere approfondimenti. Ho cercato di mantenere dritta la rotta ma senza esagerare nel guardare la bussola.
  • Concretezza: ho cercato di rendere realistica qualsiasi cosa, senza fermarmi alla frase ad effetto ma spiegando nel dettaglio pro e contro di fare un sito Internet, un blog, una strategia sui Social Media o altro. Citando la facilità di scrittura e, allo stesso tempo, le difficoltà nel creare semplici parti di Html da soli, provando e riprovando. Entrando fisicamente in un CMS (Wordpress), senza fermarsi all'involucro.
  • Priorità: la cosa che ritenevo più importante era far passare pochi concetti su come si poteva  provare a promuoversi online. Tre quelli principali: collaborazione contro "competizione tra poveri", progetto e strategia contro le mode del momento, semplicità contro creatività fine a sé stessa.
Risultato? In 8 ore, quattro più quattro, non abbiamo fatto una pausa caffé, nonostante l'avessi proposta più volte (avevo una slide precisa per questo scopo, con l'immagine sopra). Lo ritengo un buon indicatore. Non sono riuscito a fare esercitazioni pratiche strutturate, solo rispondere a decine di domande, quasi mai banali, su siti, blog, Facebook, LinkedIn, e-mail, newsletter, brochure, immagini e video. Se i mercati sono conversazioni, come sostiene l'ancora attualissimo Cluetrain Manifesto, perché non possono esserlo, nel loro piccolo, anche i corsi di formazione?




mercoledì 13 febbraio 2013

Elogio di una giornalista


L'annuncio delle dimissioni del Papa ha fatto il giro del mondo ma vedere come è nata la notizia dell'anno, o del decennio vedete voi, è molto singolare. Lo scoop è stato lanciato dall'Ansa, in particolare da Giovanna Chirri, che ha compreso immediatamente la notizia, ha fatto le sue verifiche e poi ha fatto il lancio ripreso poi da mezzo mondo. Cioè un percorso del tutto tradizionale, quasi conservatore, in un'epoca di social media, citizen journalism e news in tempo reale. Ma senza voler entrare nella filosofia comunicativa, fissiamo alcuni elementi importanti:
  • Competenza: la giornalista, vaticanista, ha saputo interpretare dal latino una notizia del tutto inaspettata, provvedendo a fare, prima di tutto, le verifiche del caso. Questo dimostra professionalità e  rigore metodologico nel trattare una vera e propria notizia bomba.
  • Velocità: come sa chi mi segue, non ritengo che la velocità della trasmissione di una news sia un elemento prioritario, la ricerca a tutti i costi dello scoop genera mostri informativi, spesso tanto gonfi quanto falsi. Meglio puntare sulla qualità. Tuttavia, con una notizia del genere, darla prima di tutti era un bel valore aggiunto. Sottolineo la velocità con cui ha fatto le verifiche del caso, nei confronti di un ambiente chiuso e stranamente spiazzato come quello del Vaticano. Rapidità e qualità.
  • Presenza fisica: quante volte vediamo sui giornali delle notizie che ci sembrano veri e propri comunicati stampa, che non hanno alle spalle un'analisi dell'annuncio e della sua forza? Perché i redattori le ricevono direttamente ai loro desk via mail (o su Twitter), notizie numerose e spesso non così rilevanti per il ricevente tanto quanto lo sono per il mandante. In questo caso la giornalista era sul luogo ("eravamo in pochi"), capace di "annusare" la notizia al volo e di dare al lettore (che in questo caso è anche un giornalista, visto che parliamo di lancio Ansa) un vero valore aggiunto.
In un post di qualche tempo fa dicevo che per ritrovare il suo ruolo nel prossimo futuro il giornalista deve ritornare al passato: formazione, professionalità, competenze, controllo dei fatti e delle fonti, presenza diretta sul campo. L'obiettivo è la credibilità, l'unica cosa che pagherà in un futuro di enorme quantità e poca qualità.

Leggetevi qui la cronaca di quei momenti fatta da Giovanna Chirri, raccontata da lei stessa. Trasuda passione per il proprio lavoro ed emozione. Ha sicuramente ragione Marco dal Pozzo quando dice che parlare di "scoop" oggi è un po' fuori luogo. C'è qualche bellissima eccezione, questa per esempio. E il merito va tutto a una giornalista che ha fatto la giornalista, prendendosi complimenti illustri ma mantenendo una grande umiltà. Altra dote non trascurabile in un'epoca in cui i redattori fanno, troppo spesso, solo personal branding.

mercoledì 6 febbraio 2013

Jon (Favreau) goes to Hollywood

Prima la notizia. Il ghostwriter del Presidente Obama, Jon Favreau, 32 anni, lascia lo staff presidenziale per andare a Hollywood. Quasi sicuramente farà lo sceneggiatore. Tanto per comprenderne l'importanza, si tratta di colui che, da quando aveva 23 anni, scrive i discorsi di Barack Obama e l'ha accompagnato dalla campagna elettorale per diventare Senatore. Lui ha inventato "Yes, we can", tanto per dire. Ed era il membro dello staff con lo stipendio più elevato. Ora, uno come me che vive in un Paese dove non si neanche cosa faccia un ghostwriter o chi siano quelli nostrani (tranne rare e non memorabili eccezioni), si domanda: ma chi gliel'ha fatto fare? Lui non commenta ma c'è un indizio: Jon Lovett (30 anni), pure lui ex speechwriter di Obama, è uno degli sceneggiatori della serie 1600 Penn, appena lanciata dalla NBC. Quindi Favreau non è il primo a fare il salto da Washington a Los Angeles. Forse pagano ancora meglio.

Il sostituto di Favreau è Cody Keenan, di cui avevo già accennato a suo tempo (è quello vestito da pirata) e autore del bellissimo discorso del Presidente Obama dopo la strage di Tucson. Ah, quasi dimenticavo, ha 32 anni. Insomma, nel team di chi scrive i discorsi del Presidente degli Stati Uniti sono tutti under 35. E non vengono messi là perché servono "quote azzurre" o perché gli americani hanno una passione per gli stagisti ma perché quei ragazzi valgono, sanno scrivere. In più, sanno entrare in sintonia con la persona che le loro parole le deve intepretare per trasmettere informazioni ed emozioni, concetti forti e complessi. Perché dietro a un grande leader c'è un gruppo di lavoro che risulta molto più decisivo, nei fatti, rispetto a un dibattito televisivo. Un gruppo di giovani capaci che vengono responsabilizzati. Da noi di team non si parla quasi mai, si cita solo qualche spin doctor così, per fare quasi folklore. Over 50 con carriere fatte di altro alle spalle, per esempio.

Io di trentenni italiani che scrivono da Dio in rete ne leggo a decine, magari a qualcuno di loro interesserebbe fare il ghostwriter se gliene fosse data la possibilità. E uno stipendio. Poi un futuro a Cinecittà lo vedo difficile ma inizierei con una politica di piccoli passi. Iniziamo a far sapere cos'è un ghostwriter, già mi accontenterei.

venerdì 1 febbraio 2013

The paper strikes back

La fredda cronaca. Newsweek, anzi il suo controllante The Daily Beast, annuncia a ottobre 2012* (qui l'annuncio ufficiale), con forte clamore mediatico, la chiusura delle rotative per la fine del 2012*, dopo 78 gloriosissimi anni di storia. Vengono creati decine di articoli e post sulla fine della carta (uno su tutti, il WSJ), sul futuro che avanza, sul bit che vincerà e via discorrendo. Come sapete, io sono piuttosto scettico sulla morte prematura della carta (e non sono il solo, fortunatamente) però la notizia c'era, senza dubbio. Newsweek, mica una testata qualsiasi, andava solo online e ci scrivevo un post pure io, nel mio piccolo. Parlavo di "scommessa in tutto e per tutto" e concordavo sull'opinione di tanti addetti ai lavori che fosse "un salto nel vuoto". In bocca al lupo, però, per il coraggio.

Tutto bene fino al primo febbraio. Su Twitter appaiono le foto di un Newsweek cartaceo datato 3 febbraio 2013, con un grosso titolo, molto suggestivo, in copertina (vedi il tweet sotto).
Un dietrofront dopo solo un mese dalla "fine della carta"? Alcuni, in primis Piero Vietti, ipotizzano un fake molto ben fatto ma in queste ore il dibattito si alimenta. Viene fuori che l'editore, viste le proteste dei lettori e il fatto che a livello mondiale, al di qua dell'Atlantico, la carta la fa ancora da padrona, ha rimesso in moto le rotative. Certo, a quanto pare le copie diffuse sono solo 2mila per l'Italia (a dicembre erano 10mila) ma ci sono. Considerazioni? Troppo prematuro per farne di complete, anche perché ci si aspetta di avere news ufficiali a breve (vedi qui...), vedi qui sotto qualche anticipazione.


Quel che è certo è che la morte della carta non è così imminente e che se un gruppo di peso come quello di The Daily Beast/Newsweek (ora Newsbeast) fa una repentina sterzata (diciamo non un'inversione a U) appena un mese dopo aver imboccato il bivio più importante della sua storia moderna, c'è da riflettere. Un modello sostenibile e replicabile per gestire il passaggio da carta a digitale non c'è ancora, questa è una conferma molto pesante. Il digitale non garantisce ancora, almeno fuori dagli USA, profitti ampi e solidi, finché non lo fa sono scommesse. Che si possono vincere, ma anche perdere. Stiamo a vedere, il post sarà aggiornato.

Aggiornamento delle 9 di lunedì 4 Febbraio
Cercando aggiornamenti in merito alla questione, trovo il post del "solito" Piero Vietti: non ne sanno niente neanche in redazione. Citiamo spesso, io per primo, gli americani come esempio virtuoso di cultura comunicativa. In questo caso, non si può dire altrettanto. Newsweek esce cartaceo al di fuori degli USA, smentendo in modo netto quanto detto da Tina Brown tre mesi fa, e non ci sono notizie ufficiali in merito? Anzi, si torna a "chiedi all'ufficio stampa, se sei giornalista". Se questo è il futuro, sa molto di passato. E non è un complimento.


*Aggiornamento di martedì 5 febbraio
Il giornalista, e amico, Carlo Felice Dalla Pasqua mi fa notare come, per ben due volte, io abbia scritto "2013" al posto di "2012" nel post qui sopra, alla seconda e quarta riga. Sapendo quando ci tengo al fact checking e alla visibilità della correzione di ogni notizia, provvedo a correggere i due refusi: tutto merito suo, che ha perso qualche minuto del suo prezioso tempo per aiutarmi a migliorare la qualità del mio post.