martedì 18 giugno 2013

I software non vengono bene in foto

Lavoro in una società che fa software e sto cercando nuovi spunti per la nostra comunicazione di prodotto, come faccio ogni 3 mesi quando il lavoro mi permette di usare quella mezz'ora per provare a essere creativo. O talvolta di copiare bene chi lo è davvero. Ogni volta mi sorprendo di quanto poche siano le idee delle software house a livello di comunicazione visiva. Un sacco di screenshot (dei quali l'80% non hanno senso estetico), un sacco di immagini stereotipate (digitate "ERP" su Google e c'è la fiera del copia e incolla) e pochissime idee. Ok, mi sono detto, cambiamo strategia.

Ho pensato a tre aziende con brand pesanti che facessero i software più "cool" del momento, sia a livello di PC che mobile. Sono sicuro che avete intuito chi sono. Sono andato sui loro siti. Sono molto, molto simili. Impostazione minimale, un sacco di bianco e pochi contenuti, immagini quasi uguali (il device quasi sempre presente a creare una cornice adatta al codice, con il tablet assoluto protagonista). Per carità, tutti molto belli ma, come ho detto, tutti uguali. Di un'eccezione ho parlato qualche giorno fa ma pensavo di trovare più creatività in giro, specialmente nei colossi. Invece no: uno ha tracciato la strada, gli altri dietro. E vendono tutti molto bene. Hanno ragione loro, no?

Nel mio piccolo, vorrei provare a fare qualcosa di diverso. Alcuni spunti su cui voglio lavorare e riflettere:

  • non mi piace il minimal a tutti i costi e neanche lo sfondo bianco (nel mio blog è scuro, uno scuro un po' alleggerito perché alcuni mi accusavano di rovinare loro la vista ma il testo rimane, e rimarrà, bianco); 
  • vado matto per le immagini reali e realistiche (non sempre ce la faccio a metterle nei post e questo spesso non mi piace);
  • i testi di 3/4 righe mi piacciono a vederli, così carini e ordinati, ma spesso li considero quasi un orpello grafico, non li leggo se non c'è qualcosa che mi indica, subito e in modo chiaro, che posso approfondirli, se voglio (basta un link).
  • i video devono essere corti e soprattutto avere un senso per altri che non siamo noi (Vine docet). 
Devo confessare che la cosa che mi ha incuriosito di più, da questo punto di vista, è questa. Non sono troppo originale, ne parlano tutti, no? Mi piace il punto di vista, guardare il mondo attraverso qualcosa che lo interpreta, ti da nuove possibilità, rende tante cose più semplici. E se fosse il software a guardare noi? Ci penso su. Se avete spunti, liberi di commentare o dirmi qualcosa su Twitter.

venerdì 14 giugno 2013

Ci vuole rispetto per gli utenti: Google contro gli advertorial


Condivido tutto quanto detto da Matt Cutts di Google nel video qui sopra (trovato qui) contro gli advertorial (pagine pubblicitarie travestite da contenuti editoriali, insomma il caro vecchio pubbliredazionale), il native advertising e i link a pagamento. E non da oggi. Fa piacere essere d'accordo con loro, mica capita sempre.

Repetita iuvant. E buon weekend.

giovedì 13 giugno 2013

Quali dati lasciamo usando Internet? Lo spiega il Guardian, semplicemente

Il caso della NSA, della "talpa" Eric Snowden e dei dati intercettati è ormai di dominio pubblico da giorni, nelle analisi si passa da cosa spiano gli americani (la Cina, incredibile no?) ai soliti, inutili particolari morbosi sulla fidanzata del protagonista. Ma il centro della questione è un altro: cosa possono controllare, in realtà, le agenzie americane in merito ai nostri dati? Oltre alle foto di torte, gattini e tatuaggi che tanti di noi mettono su Facebook, trovano altro di interessante (sulla nostra "attenzione alla privacy", leggete qui e fatevi una risata)? A chiarire un po' di cose sui metadati, ossia le informazioni che "produciamo", consapevolmente o meno, quando usiamo la tecnologia, ci pensa il Guardian, ossia una delle due testate che hanno scoperchiato il caso. E non per caso.

Cosa ha fatto il quotidiano inglese di così innovativo? Una semplicissima e utilissima guida pubblicata online. Spiega cosa sono i metadati, quali informazioni possono essere verificate da agenzie come la NSA mentre noi usiamo una e-mail, Facebook, Twitter o Google Search. Descrive anche a cosa assomigliano questi metadati, per noi profani. Tutto spiegato in modo semplice, conciso e chiaro, senza fronzoli. C'è pure un ottimo esempio, legato al caso di Petraeus di qualche mese fa (bell'approfondimento di Repubblica, giusto citarlo, mica siamo sempre esterofili). Mi sono chiarito più le idee in 5 minuti che in giorni di articoli e articoletti sul caso. Questo deve fare il giornalismo: darmi le notizie, spiegarmele, chiarirmi le idee e rendermi un cittadino più consapevole. Non è la prima volta che cito il Guardian (un esempio qui), sono sufficientemente sicuro che non sarà l'ultima.

Ennesima conferma che spesso less is more, anche nel giornalismo.

martedì 11 giugno 2013

Essere un fan del sito di Apple, non necessariamente del prodotto Apple


Lo so cosa vi chiedete: cosa vuol dire la foto qui sopra? Niente errori, ci arriviamo tra poco. Come sa bene chi mi legge qui dentro, non sono un fan di Apple (in famiglia basta e avanza mia moglie). O meglio, non sono uno dei seguaci appassionati, e spesso del tutto acritici, dei prodotti realizzati a Cupertino. Sono invece un loro grande estimatore per quanto riguarda la comunicazione aziendale, questo da sempre. Dal design minimale e pulito delle pagine del loro sito, ad esempio, ho tratto numerosi spunti nello sviluppo di progetti e contenuti legati a portali aziendali. Magari poi sono venuti fuori siti molto diversi, alla fine decide il cliente, ma le idee alla base c'erano. Ovviamente, se fai componenti per escavatori è più difficile arrivare a quel livello, gli innovativi tablet, come dire, ti aiutano un po'. Ma gli esempi, quelli buoni, servono sempre.

Un esempio buono e chiaro di questa distinzione tra prodotto in sé e comunicazione di quel prodotto è proprio sul sito di Apple: guardate qui. Se il design della novità mi lascia un po' perplesso (per il momento mi pare un bellissimo cestino di elevato design, ideale per tirarci le cartine nelle pause caffè ma magari sono io che non capisco), la presentazione del prodotto è favolosa. Scrolli il mouse come ipnotizzato da tanta precisione e, diciamocelo, stile. Ti viene voglia di premiare chi ha messo insieme quelle immagini facendo sembrare il tutto una presentazione di un'avveniristica nave spaziale e non un semplice computer. Poi, cercando di capire come diavolo hanno fatto, scopri che hanno dovuto "inventarsi" quella tecnica per risolvere un problema.

I colleghi mi dicono che tecnicamente è un video "pilotato" con javascript, trovate di più qui e qui. Questa tecnica prevede l'utilizzo di immagini speciali come quella all'inizio del post. L'hanno fatto perché sugli iPhone, ad esempio, se inserisci un video in un contenuto testuale, il dispositivo te lo apre a tutto schermo, e non "integrato" con le parole, come loro volevano. Hanno dovuto risolvere questo problema. A me questo interessa meno, perché non è il mio lavoro (e "ci arrivo" fino a un certo punto), ma direi che hanno trovato una fantastica soluzione. In più, la cosa davvero importante dal punto di vista della comunicazione del prodotto è che non ti stacchi da quelle immagini finché non sei arrivato alla fine. Obiettivo più che raggiunto, Apple.

Aggiornamento: provato il sito Apple sia con smartphone (Android e Windows Phone) che con tablet (iPad e Samsung). Tranne il caso dell'iPad, con gli altri dispositivi non si vede il simil-video, solo un elenco ordinato e più tradizionale di immagini e testo (vedi qui sotto). Mezzo punto in meno nel giudizio.


giovedì 6 giugno 2013

Verso il digital marketing: qualche consiglio per le aziende italiane

Non è più tempo di mura tra azienda e clienti.

Generalmente i post che contengono un numero predefinito di cose da fare per arrivare a qualcos'altro non mi piacciono molto. Da "i dieci modi per ottenere un blog di successo" a "i 25 trucchi per farla impazzire a letto", la letteratura è piena di titoli così. Al 99% sono del tutto inutili, anche perché le singole idee o consigli buoni, che talvolta ci sono, si perdono in una marea di ovvietà di bassa lega. Meno male che le eccezioni ci sono, ogni tanto. Questa è una e parla di come il marketing debba affrontare la sfida/opportunità offerta dal digitale seguendo strade precise, che riassumo qui sotto, velocemente, con commenti miei.

Adattarsi - Tutto cambia molto velocemente, dai singoli mercati agli algoritmi di Google, per cui le aziende, specialmente quelle italiane, devono mettersi in testa di essere flessibili nel loro rapporto verso l'esterno. Quello che va bene comunicare oggi può non andare bene tra 6 mesi. E non c'è nulla di male: è la realtà delle cose, bellezza. Parafrasando Darwin, l'azienda che sopravvive in un momento di crisi non è la più forte né la più intelligente ma quella che si adatta meglio ai cambiamenti.

Creare - Produrre contenuti unici, di qualità, non copia-e-incollati da qualche parte è una necessità. E, al giorno d'oggi li possono realizzare solo le persone, le tecnologie servono solo a diffonderli. Gli individui saranno i protagonisti del futuro a livello di content marketing. Una prova? Google inizierà a porre tutta la sua attenzione sulle persone e non più sui link (leggete qui a proposito di Author Rank). Questo vuol dire molto lavoro in più per gli uomini di marketing, anche a livello di formazione. 

Ristrutturarsi - Le barriere verso l'esterno tendono ad abbassarsi, volente o nolente. L'evoluzione digitale porta a una caduta dei muri dei castelli medioevali aziendali verso difese più agili e flessibili ai contenuti legati al brand (Content is king, no?). Per questo, non ha proprio senso mantenere barriere elevate all'interno, con uffici a tenuta stagna che collaborano poco tra loro e manager interessati solo alla definizione scritta sul proprio biglietto da visita (la fotografia di tante PMI, inutile nasconderlo). La collaborazione interna è necessaria per sopravvivere, prima, e crescere, poi. Per questo bisogna creare team integrati, flessibili ed efficienti che riuniscano professionalità diverse, con coordinatori bravi a "fare gruppo".

Ottimizzare - Nell'evoluzione digitale, il baricentro della relazione azienda/clienti si sposta sempre più verso i secondi. Un dato di fatto. Il terreno dove si decide la partita avvantaggia spesso l'utente e non l'impresa (pensiamo ai Social Media ma non solo) per cui è bene porsi nei panni di colui con cui dobbiamo parlare per capire cosa vuole. Niente di nuovo? Provate a leggere i contenuti di 5 aziende che vi piacciono sul loro sito: li avreste voluti scritti così? Sono chiari? Hanno un significato preciso per voi? Mi sbilancio: in 4 casi su 5 la vostra risposta è no.

Concludendo, forse avrete notato una cosa. L'articolo che ho citato all'inizio titolava "five ways" e le strade sono solo quattro. No, non l'ho dimenticata, due sono confluite in una (la terza) perché l'esempio non calzava bene per le aziende italiane, le protagoniste dei miei post. Mi sono permesso di modificare i contenuti, di personalizzarli, di capire cosa può interessare chi mi legge. E poi l'ho detto subito: gli articoli "gli x modi per fare y" non mi piacciono tanto. Non mi sento per nulla in colpa.

martedì 4 giugno 2013

Chi ha bisogno dei giornalisti?


Il titolo è derivato da un bell'articolo del New York Times, testata che cito spesso ultimamente e non per caso. Si parte dal caso di Michele Bachmann, elemento di punta del movimento Tea Party americano e potenziale cavallo di razza repubblicano per la corsa alla prossima Presidenza, che ha deciso di comunicare la sua rinuncia alla candidatura al Congresso nel 2014. Dov'è la novità? Ha utilizzato solo un video su YouTube, non una tradizionale conferenza stampa. Tralasciando le motivazioni reali del suo ritiro, che lei non spiega nel dettaglio mentre altri ci provano, quello che è interessante è la scelta di ignorare i media tradizionali per parlare direttamente verso il proprio pubblico/elettorato (disintermediazione direbbero quelli bravi ma a me questo termine piace davvero poco). Dopo aver guardato il video, ecco alcuni consigli che, umilmente ma non troppo, darei sia al comunicante solitario che al giornalista non invitato alla festa.

Comunicante solitario: hai a disposizione strumenti molto potenti per comunicare senza avere la necessità, come qualche anno fa, di passare per le forche caudine della stampa con le sue domande scomode. Perché perdi questa opportunità non solo facendo un video autoreferenziale, ovattato, con una musichetta in sottofondo che dopo 10 secondi diventa noiosissima, ma anche senza dare "la" notizia, ossia il perché ti ritiri? La regola base di ogni comunicazione è che devi dare al tuo interlocutore una news che giustifichi il tempo che lui perde a leggere o ad ascoltare quello che dici. Se non la dai, le musichette e la bravura di chi ha ripreso il video non bastano. Guardi me ma parli da solo. Una non notizia non la si comunica, neanche su YouTube.

Giornalista non invitato alla festa: è un mondo molto diverso rispetto a quello di qualche anno fa, non è più il politico o l'azienda che ti deve invitare agli eventi ma sei tu che lo devi seguire, ovunque vada. Comodo era il tempo in cui, tra agenzie, comunicati stampa e inviti, ti arrivava tutto sul PC, in redazione. Ora il giornalista deve nuovamente muoversi, andare a cercare la notizia dove c'è, analizzarla e spiegarmi perché è importante. Il dove non è solo un luogo fisico ma anche virtuale, su Internet, sul profilo Facebook, su Twitter e su YouTube. Il perché è presto detto: volente o nolente, a noi cittadini i giornalisti servono. Non siamo in grado di analizzare tutte le informazioni che ci arrivano, abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano a capire, a interpretare, a farci un'opinione. Il problema è che anche il giornalista deve essere consapevole di questo nuovo ruolo, che in realtà è vecchio: deve andare a cercare la notizia, senza aspettare l'invito.

"Dobbiamo essere in grado di entrare nella mischia e spuntare fuori all'improvviso" sottolinea l'autore dell'articolo del New York Times (traduzione mia, non letterale). Sta tutto qui ma non è affatto facile, come spiega bene Giuseppe Granieri. Né per il comunicatore non più solitario né per il giornalista imbucato alla festa. Ma i lettori e gli elettori esigono che ognuno svolga il proprio compito a dovere. Sono loro che pagano i loro stipendi, alla fine. Ricordiamocelo.