venerdì 9 agosto 2013

Le storie d'azienda che dovremmo raccontare di più

Vi racconto una storia.

Nel 1918, alla fine della Grande Guerra, in un paesino del ferrarese, in the middle of nowhere, apre una piccola bottega artigiana. Sono in tre, il fondatore Vezio Bertoni e due operai, specializzati nel riparare i pochi autoveicoli che circolano. Si pensa che saranno sempre di più. Nel 1930 sono già in trenta e riparano anche mezzi agricoli, oltre a fare pezzi di ricambio. Entra un nuovo socio, perché si intuiscono le potenzialità dell'impresa: nasce il primo stabilimento, si iniziano a produrre macchine utensili e si crea il marchio, con una lince perché è l'animale preferito del fondatore.



Nel 1940 i dipendenti sono 600, l'azienda è grossa e vende all'estero (nel 1940, eh). Lo scoppio della guerra costringe il fondatore a portare tutti i macchinari, tra mille difficoltà, in Trentino, una zona più sicura. Alla fine delle ostilità, l'azienda torna a casa e riparte, con lo stesso piglio. In pochi anni ricomincia a vendere in Italia e all'estero, come prima.

I primi anni '60 segnano l'inizio della fine del miracolo economico italiano. E l'azienda, coraggiosamente, cambia il proprio core business: si butta nel settore emergente dei sottocarro, ossia quell'insieme di componenti che permettono a un mezzo cingolato di funzionare, e nell'export.



I risultati arrivano presto, l'azienda diventa quasi un sinonimo del prodotto che realizza. Per questo, inizia a far gola all'estero (come altre aziende nazionali molto prestigiose) e alla fine degli anni '70 entra un'importante azionista tedesco, che ne prende il 50%. A metà degli anni '80 la quota della società tedesca diventa il 100%. La società, con un nuovo Amministratore Delegato italiano e omonimo del fondatore, continua a crescere. Nel 1994 produce 100mila tonnellate di prodotto finito, che diventano 150mila solo tre anni dopo. Ormai ha tre stabilimenti produttivi in Italia e un marchio conosciuto ovunque.

Dopo il 2000 vengono aperte filiali in Europa, Stati Uniti, Cina e India. Vende i suoi prodotti in quasi 100 Paesi nel mondo. Ma l'azienda rimane parte integrante del paesino di 17mila abitanti che ne ospita la sede principale, la sua sirena decreta il passaggio del tempo molto più dei campanili. Una società che riconoscevi subito quando la vedevi a una fiera: stand grandi e curatissimi, un merchandising di altissimo livello che ricordava quello della Ferrari (e non per caso), una cultura comunicativa molto più elevata rispetto a quella delle aziende del suo settore. Un gioiellino insomma, con cui anni fa ho avuto il piacere di collaborare direttamente, contribuendo a scrivere comunicati stampa e case history.

Di questa storia non ne avete sentito parlare probabilmente. Questa società si chiama Berco ed è andata su tutti i media italiani nei giorni scorsi perché rischiava di lasciare a casa 611 dipendenti, rischio per ora scongiurato. Questa storia quasi centennale invece può insegnare tanto sulle vite delle imprese, sulle startup che non sono state inventate ora e su cosa si può fare in Italia, nonostante tutto e tutti. Non basta parlarne quando vanno male. Dovremmo raccontarcene di più di storie così, c'è l'imbarazzo della scelta.

Buone ferie.

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