giovedì 1 agosto 2013

Startup: tifo per chi si butta, diffido di chi ne parla


Premessa: non sono un imprenditore e quando ho aperto la partita IVA l'ho fatto per assoluta necessità, non per scelta né per vocazione. Lo stesso nome di questo blog testimonia quanto poco mi sentissi libero professionista. Da sempre sono aziendalista, mi piace il gioco di squadra all'interno di un'impresa che però non ho fondato io. Per questo, quando qui sotto inizio a parlare di fare impresa, startup e fare rete lo farò analizzando la comunicazione che riguarda questi temi, non i temi in quanto tali.

Come qualsiasi utilizzatore di Internet e di strumenti di comunicazione "sociali", sento spessissimo parlare di startup, di fare Rete e di stanziamenti. Leggi cose come queste e, oltre a ritrovare l'ottimismo, sei contento per loro, sinceramente. Perché, personalmente, la fiducia nell'Italia non l'ho mai persa: da sempre vedo al lavoro tante PMI che, nonostante tutto, progettano, inventano e vendono tanto. Sono loro che tengono su il Paese, quel 93% di imprese italiane che ha meno di 10 dipendenti. Altro che Fiat. Quelle che sono state startup ante litteram e che sono cresciute, nonostante tasse inique e una burocrazia spaventosa. Un miracolo italiano, vero, che dura da trent'anni e che ora sta subendo una crisi grossa perché ci si è messa pure l'economia ad andar male da 4 anni. Allora mi chiedo: perché si parla pochissimo delle imprese esistenti e molto di quelle potenziali che nascono, o dovrebbero, sulle basi di idee strabilianti? 

La risposta, per me, è molto semplice. Perché parlare di futuro, e non di presente, rende di più se lo devi comunicare, se ne devi parlare ai convegni, se devi prefigurare una facile prospettiva dove il culo, alla fine, è quello di un altro. Dire che sopravvive una startup su dodici non è bello, meglio supporre che in Italia possa nascere un nuovo Mark Zuckerberg (un esempio qui). Però l'Italia non è l'America, non ci sono i Venture Capital che trovi lì. Ci sono microaziende che esplodono ma sono pochissime, la maggioranza lavora durissimo e nel medio/lungo periodo riesce ad arrivare al pareggio di bilancio, se hanno idee e gente valida che vi lavora per anni. Meglio comunicare a un convegno che puoi avere un'idea meravigliosa, che gente ti può dare dei soldi per quell'idea e che diventi ricco in poco tempo. Poco verosimile ma tanto, tanto bello da dire. Meno bello dire cose così.

Io non sono contro gli startupper (termine orribile, imprenditori fa così schifo?), sono contro chi ne vende un'idea irrealistica, plasmata sulle esigenze di un keynote piuttosto che su un business plan. Io non sono contro chi ha sincero entusiasmo per questi ragazzi che fondano imprese innovative (vedi qui) , sono contro chi li dipinge in un certo modo per fini personali e professionali. Io voglio che si parli più di aziende che dopo vent'anni sono ancora sul mercato, che sono cresciute facendo macchinari, macchine utensili e software. Che sono nate quando la parola "startup" non esisteva in Italia ma che sono lì, a battagliare sul mercato, ogni giorno. Che delle chiacchiere da convegni se ne fregano e invece ascoltano le idee di ragazzi brillanti e motivati, che siano dipendenti o consulenti. Ci sono, sono tanti e ai convegni non ne parla quasi nessuno. In compenso, al'estero, dicono di comprarle le nostre PMI, che sono "un ottimo affare".

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