giovedì 31 ottobre 2013

Mission drives the business

Sta tutto qui, non serve aggiungere altro (grazie a Pier Luca per averlo twittato).
Buon ven... giovedì!

(Photo credits: quel genio di Gapingvoid)

mercoledì 30 ottobre 2013

Cose che contano e che non possono essere contate


I numeri non sono tutto, anzi diventano pericolosi se diventano l'unica cosa alla quale si corre dietro. Si rischia di essere attratti da sistemi e scorciatoie che permettono di avere numeri gonfiati ma del tutto inutili se si guarda alla sostanza. Gli obiettivi professionali e aziendali non possono limitarsi a un numero, perché questo conta ma non è tutto. Come la pesi la qualità di un'informazione, di un prodotto, di una persona? I fattori sono tanti, alcuni non sono numerabili esattamente. Correre dietro a profitti, follower, amici, articoli pubblicati, mentions e tante altre cose è utile se fatto con professionalità, serietà e buon senso. Come le pesi queste cose? Si tratta di un'analisi lunga, con parametri oggettivi e soggettivi, non si scappa.

"La fabbrica non può guardare solo all'indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia" diceva Adriano Olivetti, di cui ho guardato la serie sulla RAI e della cui vita approfondirò molte cose perché finora, semplicemente, non l'ho fatto. Sostituite "fabbrica" con "professionista" e ottenete lo stesso risultato. Guardando solo ai profitti o ai numeri, si scelgono inevitabilmente le vie che sembrano e ripeto sembrano, più facili per ottenere risultati di breve, brevissimo periodo. Si investe poco sulla qualità e su tante altre cose meno tangibili ma altrettanto importanti. Ora viviamo una specie di ideologia legata ai numeri semplicemente perché li abbiamo lì', tanti, facili, ci pensano le macchine a fare il lavoro sporco. E, ripeto, è facile esserne affascinati e convincersi che possono darci tutte le risposte. Non è così. Ci dicono tanto (vedi anche qui), non tutto.

Per ottenere certi risultati servono anche cose come empatia, intuito (vedi qui), fiducia, sicurezza nei propri mezzi e sincerità nei confronti di chi ci guarda, ci legge, ci valuta. Cose non pesabili ma che contano e contano tanto.

lunedì 28 ottobre 2013

Il valore della credibilità


Nel post di qualche giorno fa analizzavo la scelta di grandi player del settore IT e tecnologico di presentare numerose, e pesanti, novità di prodotto lo stesso giorno, con qualche critica da un punto di vista del marketing (ha vinto il favorito, come volevasi dimostrare). Ho letto qualche articolo, molti tweet e tantissimi commenti entusiasti dei vari prodotti, di cui alcuni di persone invitate all'evento quali giornalisti, addetti ai lavori e blogger.

Lavoro nel settore della comunicazione da troppi anni per chiedermi, per l'ennesima volta, quanto una persona invitata a un evento e completamente spesata, o quasi, possa essere obiettivo in merito a cosa sta dicendo. Per carità, la stessa cosa vale per una persona alla quale si invia, gratuitamente, un prodotto in prova: come può parlarne pubblicamente male? Non c'è nulla di male, è comprensibile, ma c'è modo e modo. Però c'è qualcuno che delle piccole riflessioni obiettive in merito le fa e non fa male (eccone una qui sotto).
Quindici anni fa ero io lo stagista o il junior che inviava i nuovi prodotti di punta ai giornali specializzati per farci fare una "prova prodotto". Al di là che sperassi ardentemente di ottenete recensioni iperpositive (i responsabili marketing sono piuttosto "ottimisti" e io tenevo famiglia, ossia me stesso con casa a Milano), apprezzavo molto quelle persone che ne parlavano comunque elencando i pro e i contro, seguendo quindi la cosiddetta regola della prova su strada di Quattroruote, temutissima all'epoca come oggi dalle aziende stesse. Ce n'erano e avevano tutta la mia stima. Ora che la penna non è solo riservata ai giornalisti ma a tanti altri professionisti con significative tirature in termini di visitatori e accessi online, la questione si fa ancora più complessa.

Io dico la mia, ripeto, senza stracciarmi le vesti. Mi piacerebbe che chi scrive spiegasse in modo chiaro a chi legge semplicemente perché ne parla. Basta un semplice "siamo stati invitati qui a vedere le nuove..." oppure "ci è stata inviato questo prodotto da provare...". I tweet non valgono, se io leggo un contenuto questo deve essere spiegato lì, in quelle righe, non altrove. Non mi aspetto che mi dica chi paga (se paga l'editore e l'azienda investe un budget pubblicitario consistente nel giornale stesso, le differenze appaiono molto meno sostanziali) o che non ci sono conflitti d'interesse evidenti (vedi qui), mi aspetto solo di capire perché si scrive di quello, ossia dove sta la notizia (se c'è). E io, lettore, traggo le conclusioni.

La moneta su cui valutare le parole non è stabilita in euro ma in credibilità. Le marchette si vedono, non sempre ma molto spesso se ne annusa l'odore. Questo non giova a chi scrive né al brand di cui si parla. Se sentiamo quell'odore, la prossima volta semplicemente leggeremo qualcos'altro. E se il prodotto è davvero valido, sarebbe un vero peccato.

(Photo credits: Flickr, Steven Correy)

martedì 22 ottobre 2013

La carica dei 6 dispositivi


Microsoft e Nokia scelgono di "mostrare i muscoli" proprio oggi (Nokia World ad Abu Dhabi) che è il giorno scelto da Apple per annunciare i nuovi iPad. Mi sembra una scelta del tutto ridicola dal punto di vista del marketing. Microsoft e Nokia devono fare un'operazione di integrazione difficile, complessa e di medio/lungo periodo nel settore smartphone e tablet, questo è chiaro per tutti. L'evento dove presentare tutte le novità che erano in cantiere da tempo, ben sei tra tablet e "phablet", per far vedere che non si stanno suicidando (come sostiene qualcuno e con qualche ragione). Dovevano dare un segnale tranquillizzante, di serenità e consapevolezza dei propri mezzi. Perché scegliere il campo di battaglia dove si è più sfavoriti, quello dei tablet, nel momento dove si è più deboli per mostrare i muscoli nei confronti di Apple?

Probabilmente, vogliono dare un segnale forte al mercato, qualcosa tipo "ok, siamo in un momento delicato ma non abbiamo paura di nessuno". Al di là di apprezzare il coraggio della scelta, se io fossi stato nel team di Elop avrei vivamente sconsigliato questa scelta. Hanno tutto da perdere. Basterebbe leggere due o tre punti di Sun Tzu, uno su tutti: "quando vedi il nemico pronto, preparati contro di lui; ma evitalo, dove è forte". Invece vanno all'attacco con tutta la cavalleria, come la famosa "carica dei 600" e sappiamo tutti come vanno a finire Errol Flynn e i suoi. 

Non resta che rimanere in attesa dello svolgersi degli eventi e vedere come andrà. Non sono un Apple fan ma li vedo molto, molto favoriti in questo caso. Anche loro hanno i loro problemi (vedi il taglio degli ordini dell'iPhone 5C per questioni di pricing) ma non certo sui tablet, almeno a oggi. Strana scelta quella di Microsoft/Nokia, neanche fossero gli enti fieristici italiani che in un momento di crisi nera scelgono di organizzare manifestazioni simili negli stessi giorni, con l'unico risultato di dividersi i visitatori e scontentare tutti. La fiera della vanità, si dice, no?

venerdì 18 ottobre 2013

Personalizzare parole e immagini


Non faccio molto spesso post con segnalazione di siti e utility in grado di abbellire blog e siti Internet. Però ho da poco conosciuto Tagxedo (naming bellissimo), che ti permette di creare letteralmente "nuvole di tag" in grado di unire immagini e parole, foto e contenuti. Questo per raggiungere tre obiettivi:
  • realizzare immagini particolari che uniscono parole e foto, con schemi derivati da un testo o dai contenuti del tuo sito Internet. 
  • personalizzare un'immagine in linea con quanto vogliamo dire, usando anche foto proprie e non solo modelli già pronti (come il biplano qui sotto sta a dimostrare);
  • sperimentare, dato che le possibilità sono praticamente infinite, dipende tutto da tempo e fantasia.
Ieri sera mi sono divertito parecchio. Mica si possono sempre scrivere post seri e seriosi, ogni tanto bisogna pur giocare, io l'ho fatto con immagini e parole.


martedì 15 ottobre 2013

Sperimentare


"Non riuscirai mai a fare una foto bella di quel prodotto, lavora molto bene ma è brutto da vedere, c'è poco da fare". Questa fu la piccola provocazione fatta tempo fa da un collega, uno che stimavo e stimo tuttora. E, diciamocelo, aveva ottime possibilità di aver ragione lui visto che il prodotto in sé non era obiettivamente carino dal punto di vista del design. Ma non era colpa sua, non "doveva" essere bello, era solo un componente di un sistema. Io la presi come una piccola sfida, una scommessa simbolica. Non sono un fotografo, non ho rudimenti particolari di tecnica, obiettivi ed esposizione. Ma sono uno che ci prova ("un testone" direbbe mia moglie, non solo in senso negativo). In passato, avevo fatto belle foto di autobetoniere e di vibratori industriali (no, sono molto diversi da come li pensate), semplicemente perché ci avevo provato con entusiasmo e caparbietà.

Andai davanti a quel prodotto e mi misi a pensare, provare e riprovare. Scattai qualche foto in posizioni assurde, quasi senza guardare quello che scattavo ma solo per avere una prospettiva insolita. Il vantaggio di avere una macchina digitale è che non costa nulla scattare dieci foto in più, l'unica variabile di peso è il tuo prezioso tempo. Mi sono dato un limite temporale poi le ho provate tutte. Risultato? Il 90% di quelle foto erano brutte, per una miriade di ragioni. Il 5% era accettabile e non bastava. Il restante 5% ha stupito anche me. Erano belle, quasi futuristiche. Ed erano quelle che avevo scattato quasi senza guardare l'obiettivo. Un caso? Forse, però erano venute bene, quello contava. Le feci vedere ad altri, concordavano con me. Ora una di quelle è stata usata per una significativa iniziativa di comunicazione dell'azienda, una bella grossa in cui il prodotto si vede molto bene. E ho vinto la scommessa: un caffè.

La morale? Se siamo convinti di una nostra idea, restiamo convinti, teniamo duro e proviamoci. Diamoci un limite di tempo definito e sperimentiamo senza limiti e senza regole predefinite. Spesso non porta esiti positivi, mica è un film la vita, ma qualche volta ce la si fa. Senza sapere neanche il perché. Non serve aver studiato né avere competenze, spesso sono limiti che ci imponiamo da soli. Se va male, pazienza, si riproverà su altre cose. La vita stessa è "un viaggio sperimentale, fatto involontariamente" dice Fernando Pessoa. Andare in ufficio il giorno dopo aver vinto una piccola scommessa è particolare. Anche il caffè chimico della macchinetta sembra più buono. Incredibile, no?

P. S. La foto sopra ritrae un bicchier d'acqua.

giovedì 10 ottobre 2013

Tre cose intelligenti su marketing, PMI e startup

Leggo stamattina un bel post di Roberto Bonzio, persona che consiglio vivamente di seguire su Twitter vivamente se siete interessati a cose come startup, Silicon Valley ed emigrare in America. Anzi, seguite direttamente il blog "Italiani di frontiera", non ve ne pentirete. Del post voglio sottolineare solo tre punti, semplici ma che ritengo importantissimi:

  • "Il successo non arride alla tecnologia migliore ma a quella che ha il miglior marketing. Per affrontare un ecosistema dove tutto si muove rapidamente, occorre sapersi adeguare a questo ritmo, anche nelle presentazioni, che devono essere brevi e fulminanti. Imparare a colpire ma anche a capire rapidamente se l’opportunità sta sfumando". Sottoscrivo tutte le parole di Alfredo Coppola. Particolarmente importante l'ultima frase: capire velocemente se l'opportunità sta sfumando e non continuare a stressare il nostro interlocutore, è inutile. Legato alla questione dell'empatia, di cui parlavo qualche post fa.
  • "A Silicon Valley possono sbarcare pure piccole e medie imprese. Che troppo spesso approcciano il mercato oltreoceano in modo maldestro, prima di tutto ignorando quanti e quali siano in realtà i loro concorrenti". La realtà delle cose è che le PMI non conoscono i propri concorrenti in generale o, peggio, li conoscono quel tanto che basta per copiare i loro errori. Mancanza di cultura sufficiente a livello di marketing, anche su questo ho già scritto qualcosa
  • "Si possono fare aziende di successo interagendo in modo singolare con dei colossi. [...] (In Cisco c'è) una formula singolare: lasciare la società per fondare una startup, realizzare una tecnologia di successo, acquisita proprio da Cisco. Quindi farvi ritorno per ripartire dopo qualche anno con un’altra idea, un’altra uscita e un nuovo ritorno coronato da successo. E da un impatto finanziario non indifferente". Pensate a una media azienda italiana, sarebbe quasi improponibile attuare un'idea così. Noi li vogliamo in ufficio, alla scrivania, mica fuori a cercare e sviluppare idee.

Ne vorrei leggere qualcuno in più di post del genere su startup e dintorni. Il problema è districarsi nella marea di fuffa generata dal fatto che "startup" va di moda. Per fortuna, oltre al fumo talvolta c'è anche l'arrosto. E che arrosto. Guardate qui sotto.


lunedì 7 ottobre 2013

Non è paura del Web, è non conoscenza del Web

Gli italiani hanno paura "del Web"? Al di là della frase messa così, quelle frasi giornalistiche un po' grottesche se le leggi due volte, un articolo di Repubblica sostiene questa tesi. A mio parere, ha le sue ragioni: il 93% degli intervistati teme che la propria privacy possa essere violata su Internet. Sinceramente, anch'io farei parte di quel campione se me lo avessero chiesto. Tuttavia questo è solo un aspetto della medaglia, ce n'è uno molto più inquietante, riassunto benissimo da Ernesto Bellisario in un tweet.

Come accade spesso a chi non conosce bene qualcosa, si passa dalla paura del non conosciuto alla fiducia totale in un amen. Si è insicuri, ci si fida e si spera che tutto vada bene. Conosco decine di persone che sono del tutto restii a fare operazioni normali su Internet (tipo comprare qualcosa), ed è legittimo. Poi tuttavia queste stesse persone si trasformano completamente se l'ambiente è un Social Network, allora mostrano anche le foto dei figli nella vasca da bagno. Sono matti? No, si illudono di conoscere qualcosa in base a un paio di elementi. Come se uno si convincesse di saper guidare perché capisce come accendere il motore e come si accelera con un pedale. 

Non è mia abitudine fare analisi sociologiche, non è il mio campo e non mi compete. Faccio un semplice esempio personale. In un'altra vita ho fatto rilevazioni statistiche per l'Istat e mi ricordo ancora i minuti davanti alle mute porte di casa per convincere anziane signore ad aprirmi la porta. Tutto giusto, per carità: uno sconosciuto con un tesserino che vuole entrare in casa mia, siamo matti? La questione interessante però arriva quando mi aprivano: dopo 5 minuti mi offrivano il tè coi biscotti, mi lasciavano solo per andare a prendere il contratto d'affitto e altre cose. Si passava quasi istantaneamente dalla non fiducia alla fiducia smodata. Io dicevo loro: "signora, può aprire l'elenco telefonico, chiamare il centralino del Comune, chiedere dell'ufficio XY e il mio responsabile le confermerà la mia identità". Nessuno l'ha mai fatto e mi sono sempre chiesto cosa gli costava.


Lo stesso atteggiamento viene seguito dalle aziende. Alcune passano da una sfiducia totale verso l'Internet "che fa perdere solo tempo" ad aprire avventurose pagine su Facebook solo perché "l'ho letto sul Sole 24 Ore" oppure, peggio ancora, "perché l'hanno già fatto i miei concorrenti". Non si tratta di fiducia, si tratta di conoscenza, di cultura, di consapevolezza. Se uno si impegna a conoscere le cose, le paure restano ma si conoscono molto meglio. E non si superano perché ci si fida ma perché ci si prende una piccola ma ben valutata responsabilità. Cambia tutto. Non è saltare nel vuoto (non lo faccio, non lo faccio, ok, mi butto), è arrampicarsi per raggiungere una vetta.

(Photo credits: http://www.zwiglhof.com/aktivitaeten/)

mercoledì 2 ottobre 2013

Nessuno si lamenta di avere le idee troppo chiare


Per chiunque lavori nel marketing o nella comunicazione, il rischio "calzolaio con le scarpe rotte" è sempre in agguato. Sarà che è un lavoro creativo e di testa ma nel momento in cui si abbassa un attimo la lucidità si rischia di perdere la bussola. Un esempio: da sempre, e nel mio libro lo spiego numerose volte, sostengo fermamente che ogni attività deve prevedere tanti microprogetti all'interno di un macroprogetto. Ogni cosa deve essere inserita in un quadro chiaro non solo per chi deve fare attività operative ma anche per tutto il resto delle persone coinvolte a più livelli, dai capi all'ultimo/a stagista. Senza fare questo, si ragiona nel brevissimo, nell'iniziare e concludere attività misurabili in ore e si perde il quadro generale. Utilizzare software o altri sistemi aiuta ma la cosa più importante è darsi un metodo, facendo sempre un progetto. Un Word, una mail, un documento online, tutto va bene. L'importante è farlo.

Spesso noi specialisti, fatto il piano marketing generale, lasciamo un po' perdere il controllo delle attività operative oppure, esagerando in maniera opposta, perdiamo un sacco di tempo in minuzie di secondaria importanza. Il progetto è un punto di riferimento al quale aggrapparsi dopo aver risolto le piccole e grandi emergenze quotidiane, in modo semplice e veloce. Non solo per noi, per tutti. Evita molte incomprensioni e ritardi, senza avere fattori contrari (a meno di non voler fare Word di 20 pagine per ogni modifica a una brochure, infarcendolo di fumo e fuffa). Volete avere una prova chiara che il vostro progetto è quasi solo nella vostra testa? Le facce di capi e collaboratori, che rispondono alle vostre istanze con qualche secondo di ritardo. Perché devono collegare i puntini, ogni volta, e non è facile per loro. Invece siamo noi a dover dare un'immagine chiara a ogni attività, portando spesso esempi pratici, concreti, da toccare con mano.

Il rischio dell'autoindulgenza, del "non capiscono nulla", del "ma io l'avevo detto, sono sicuro" è sempre in agguato, giorno dopo giorno. Quando ci mettiamo davanti a uno spazio bianco, di carta o di bit, con delle idee che devono diventare pratiche ed essere convidise, ci sembrerà sempre di impiegare il nostro prezioso tempo in bella ma poco fruttuosa teoria. Non è così, è l'esatto opposto. I vostri collaboratori e capi non si lamenteranno mai se gli date un'idea troppo chiara delle cose. Al massimo ve la criticheranno ma questo sarà per un altro post.