lunedì 30 novembre 2009

Accesso negato, insuccesso assicurato

Dubai è argomento caldissimo in questi giorni. Tra analisi economiche e borse in crollo, si è parlato anche del blocco dell'accesso alla rete da parte delle autorità dell'emirato. Nel numero di Wired di dicembre si parla di un tema analogo, ossia di come Freegate stia "fregando" (curiosa l'assonanza dei due termini) i blocchi imposti dai governi dell'Iran e della Cina. Ah, noi occidentali, come siamo fortunati ad essere così liberi. Poi ci vestiamo, andiamo al lavoro, proviamo a vedere qualcosa su YouTube e ... bloccato?! Proviamo con hotmail, magari c'è qualche problema al ... ma come? Bloccato pure questo?!

Sono sempre più numerose le aziende che bloccano gli accessi ad alcuni siti, non si sa bene con quale discrezionalità, perché "dimuniscono la produttività dei lavoratori". Ritengo sia una colossale sciocchezza dal punto di vista della comunicazione interna, pensata dalle stesse persone che negano a qualche lavoratore di uscire qualche minuto prima dell'orario stabilito perché, se no, dovrebbero concedere questo "privilegio" a tutti. Non si vogliono fare discorsi generici sulla libertà di opinione e di accesso all'informazione, argomenti troppo nobili e ampi per le mie possibilità. Mi limito a fare alcune considerazioni sui vari "contro" di questa scelta:

  • Sfida tutta da perdere: se sfidati, i dipendenti possono mettere molto più impegno del "capo" nel trovare escamotage o trucchi (attraverso "tunnell" e cose varie) per accedere comunque a quei portali. Raggiunto l'obiettivo, il responsabile ci fa la figura del cioccolatino.

  • Creatività dannosa: per cercare soluzioni che aggirino i tuoi blocchi, i dipendenti utilizzano la loro creatività "contro" l'azienda invece che a favore. Ha senso?

  • Crollo della fiducia: dopo aver speso ore in formazione e nel cercare di fare gruppo, blocchi YouTube. Se speri di risolvere così la situazione, probabilmente hai già sbagliato il modo di fare formazione e hai perso solo tempo nel cercare di fare gruppo.

  • Gestione inefficiente del team: se una risorsa spende ore sui social network invece che a lavorare, fare un blocco non risolve nulla, troverà un altro modo alternativo per perdere tempo. Non è più semplice parlarci direttamente, anche a muso duro, per capire dove sta il problema?

  • Figura da tecnosauro: già oggi, si può accedere al Web con i cellulari e sarà sempre più semplice in futuro. Le reti Wi-Fi inevitabilmente si amplieranno. Requisire pure i cellulari e schermare eventuali WLAN esterne è una soluzione? Credo proprio di no.

Il capo deve fare il capo in tutti i sensi, guidando un gruppo di persone per renderlo sempre più affiatato e, soprattutto, motivato. Deve dare loro regole precise e fiducia al tempo stesso. Questo vale sia per le piccole che per le grandi aziende, si tratta sempre di comunicazione interna. Se uno fa un buon lavoro, non è così negativo che spenda un quarto d'ora per andarsi a vedere la mail, fare un commento su un blog, accettare un amico su FB o inserire un paio di righe su Twitter. Se esagera, ci si parla, come se facesse troppe pause caffè. O vogliamo bloccare pure le macchinette? Magari, in Cina o a Dubai ci sono già arrivati ...

venerdì 27 novembre 2009

Non è così molle questa blogosfera

La Blogosfera è "molle"? Giuseppe Granieri ha fatto sul suo blog un post intelligente e provocatorio sull'argomento, con un gran bel titolo. Questo ha generato un'ampia discussione in rete, cosa sempre positiva se fatta con i giusti toni e con la giusta intelligenza. Non sono d'accordo su molte delle cose che scrive, in primis con la sua critica alla dimensione personale dei blog italiani. Per me, questa è proprio la forza di un blog, sono l'esperienza, il giudizio e la competenza di chi scrive a determinarne il valore stesso. E' un terreno che, per la sua stessa natura, spinge ad essere più convincenti e argomentati di quanto si faccia in altri "posti", come Facebook o Twitter.

Leggo blog realizzati da persone con molte cose da dire, spesso intelligenti, spessissimo molto diverse tra loro. Alla faccia della cultura italica che esige una contrapposizione politica in ogni posto, dal bar al Web, fatta di toni alti e lotta acerrima a chi la pensa diversamente da noi. Il blog rimane un posto di riflessione e confronto positivo. E penso che, in questo campo, siamo molto meno indietro ai soliti anglosassoni, anzi abbiamo alcune peculiarità molto positive: siamo partiti più tardi, come sempre, ma abbiamo capito come non commettere alcuni errori. Concordo pienamente con quanto dice Luca de Biase nel suo post: i blog non sono solo una critica all'esistente o un riflesso della società locale, ma un motivo di miglioramento e innovazione. Prendendo strade diverse. Non vedo niente di molle in tutto ciò.

mercoledì 25 novembre 2009

Le notizie non notizie

Un interessante post del blog Le Relazioni Pericolosamente Pubbliche parla delle "notizie non notizie", ossia quegli annunci che i responsabili delle società ritengono di significativo interesse ma che, in realtà, hanno un'importanza che si ferma all'interno del cancello aziendale (spesso, anche molto prima).

L'implementazione di un nuovo software gestionale, l'investimento di risorse in formazione o la creazione di una nuova area del sito aziendale sono solo alcuni esempi di queste "false notizie". La cosa brutta è che, quasi sempre, si creano aspettative altissime in termini di visibilità, seguendo la filosofia "mi sono fatto un mazzo così per fare questa cosa, ora andare sul Sole 24 Ore mi pare il minimo". E noi, esperti di comunicazione, dobbiamo affrontarle con alti rischi per la tutela del nostro lavoro. Non abbiamo però altra scelta che dire la verità. Non per questioni etiche, quanto perché quando non usciremo sul Sole 24 Ore (ma neanche sulla Gazzetta di Modena, con tutto il rispetto), avremo una solida spiegazione, che abbiamo dato prima. Non una scusa posticcia. Il nostro lavoro è anche questo, dire a un cliente cos'è o cosa non è una notizia.

Belle parole. Ognuno di noi però ha sentito (o peggio, detto) in riunione, con toni enfatici, la seguente frase: "Ma certo, le assicuro tot uscite sul Corriere Economia". Senza avere idea delle notizie da comunicare, ma solo per sottolineare il nostro accreditamento nei confronti dei media di riferimento. Bullshit, direbbero negli States. Il nostro compito è tradurre questa espressione in italiano accettabile e spiegare la cosa al manager di riferimento, con franchezza, onestà e un po' di faccia tosta. Se si devono affrontare gli occhi di chi ha perso le notti per implementare SAP, consiglio vivamente anche un elmetto in kevlar.

martedì 24 novembre 2009

L'Infedele

Ieri sera ho partecipato alla puntata dell'Infedele di Gad Lerner su La 7. Una bella esperienza passare un paio d'ore tra operai di Termini Imerese, sindacalisti duri e puri, precari "a tempo indeterminato" e liberi professionisti all'avventura come me. E avere anche la possibilità di parlare della mia esperienza. A livello di comunicazione, direi che il Viceministro Urso, persona che stimavo, non ne è uscito bene, troppi numeri e poca sostanza. Rispecchia esattamente la linea governativa attuale. Ottimi invece gli interventi di Vladimiro Giacchè: parlare di economia in modo così semplice, chiaro e diretto non è affatto facile. Un grazie anche a Gad Lerner e alla redazione dell'Infedele (in particolare a Michele Cavallaro) per l'opportunità. Mica capita tutti i giorni!

giovedì 19 novembre 2009

Un invisibile sul Corriere


Ho lasciato un mio commento sul nuovo blog del Corriere della sera, "Generazione Pro Pro", che vuole parlare e dare voce a tutti quegli "invisibili" che affrontano la crisi tutti i giorni senza andare sui giornali o sulle tv. Un universo ampio e ricco che comprende un sacco di lavoratori, dai precari ai liberi professionisti, dalle microimprese ai disoccupati. Bene, il mio commento è stato ripreso sia sul Blog stesso che sul Corriere della sera per "darmi voce"! Ringrazio Jacopo Tondelli, giornalista che ha scritto l'articolo e con cui ho iniziato uno scambio di mail davvero simpatiche, e tutta la redazione del Corriere. Sono arrivati "sul pezzo" un po' in ritardo, ma ci sono arrivati molto bene. Quel commento che ho scritto è stato generato dallo stesso impulso che mi ha portato a pensare a questo Blog: avevo qualcosa da dire e l'ho detto utilizzando i mezzi a disposizione. Sono contento che ci sia qualcuno che ascolti. Ora vado a mettere la copia del Corriere in bacheca!

martedì 17 novembre 2009

FB significa Fare Business?

Il NY Times ha pubblicato un interessante articolo, dal titolo assai impegnativo: "How to market your business with Facebook" (si può leggere qui in inglese). Il testo spiega alcuni "trucchi" su come utilizzare il più famoso social network dei nostri tempi (per ora) per trovare nuovi clienti e creare community in grado di rafforzare il brand delle aziende. Tutto questo grazie al passaparola, strumento di comunicazione formidabile, che è l'essenza stessa di Facebook. L'utente medio ha, infatti, circa 130 amici. Se uno fa due calcoli, sembra una manna dal cielo molto economica e facile da sfruttare, in realtà è tutto da vedere.

Per quanto riguarda lo strumento Facebook, gli "amici veri", quelli che potrebbero davvero convincermi a provare qualche nuovo strumento o servizio, non sono più di quelli reali, ossia 10 al massimo. I restanti 120 vanno bene per chiacchierare, punto e basta. Sono amici di amici, ex colleghi, ex compagni di scuola o perfetti sconosciuti, che non vediamo mai di persona e ci sarà pure un perché. Quindi il target non si amplia poi più di tanto rispetto ad altri strumenti più tradizionali, se si vuole utilizzare il fenomenale strumento del "word of mouth" (come dice il NY Times). I 300 milioni di persone presenti su Facebook "pesano" ma si tratta di un universo così eterogeneo che sono ottimi per qualche titolo ad effetto. Non certo per fare business, almeno con il modello di social network odierno.

Facciamo anche una riflessione sulla nostra situazione, in Italia. L'articolo del NY Times spiega che per fare fortuna con FB non funziona il messaggio "compra-compra-compra" di tipo pubblicitario. Serve interazione con gli utenti, comunicare con chi loda e con chi critica, ascoltare quello che la gente ha da dire, mantenere aggiornati i contenuti, prendere idee altrui per migliorare la situazione della propria azienda. Tutto giustissimo. Vediamo a che punto siamo, in modo semplice. Prendiamo 100 siti di aziende italiane, il caro vecchio Web, e verifichiamo almeno la cosa più semplice, quanto curano l'aggiornamento dei contenuti. Tra Novità (con la N maiuscola) datate 2006, "comunicati stampa recenti" dell'Ottobre 2008 e poche immagini di qualità pessima, la situazione non è affatto rosea. E non si sta parlando di gestire un'interazione con gli utenti in tempo reale, ma di curare solo che 20 pagine Web dicano cose nuove e vere. Non abbiamo ancora una cultura del Web per fare business, figuriamoci per i social network. Ci stiamo lavorando tutti ma la strada è ancora lunga.

Continuare a leggere il NY Times è un'ottima cosa per il mio business, specialmente se al tempo stesso dò un'occhiata al Corriere della sera, alla Gazzetta di Modena e a un buon numero di portali, compreso quello della mia azienda. Così dopo posso finalmente cazzeggiare su Facebook.

giovedì 5 novembre 2009

La comunicazione ad "effetto Mp3"

Leggo avidamente il numero di Novembre di Wired, rivista che rappresenta a mio parere la più bella novità editoriale del 2009 in Italia per tre motivi: approccio innovativo, cura dei dettagli e grande attenzione ai contenuti. C'è un articolo molto interessante di Robert Capps (si può leggere qui nella versione inglese) che parla della "good enough revolution". In un mondo sempre più impegnato e indaffarato, la gente preferisce la praticità alla funzionalità, la semplicità alle prestazioni. In poche parole, vincono gli strumenti facili da usare che non devono rendere da 10, ma da 6+. Un esempio è l'Mp3: a livello di suono, è qualitativamente molto inferiore al CD ma la sua semplicità di utilizzo e di condivisione ne hanno decretato un successo clamoroso. La stessa cosa si può dire dei video sul Web, da YouTube allo streaming (contenuti spesso a bassissima definizione ma facilmente accessibili da qualsiasi PC in qualsiasi momento). In più, questi strumenti hanno costi bassi, fattore non trascurabile in un momento come questo.

Tutto questo è molto attinente al mondo della tecnologia, ma per quanto riguarda la comunicazione? A mio parere, l'effetto Mp3 è validissimo. Le aziende stanno tagliando i costi, spesso quelli per marketing e ufficio stampa sono i primi ad essere presi in considerazione. Ma la comunicazione può garantire un rapporto costi-benefici molto vantaggioso, specialmente se la pensiamo in modalità "good enough". L'utilizzo esteso di strumenti come Skype può abbattere i costi legati al mantenimento delle relazioni con clienti, partner e media. Lo sviluppo di contenuti e servizi all'interno del sito Web può essere più semplice ed economico rispetto alla stampa di migliaia di flyer, brochure e schede prodotto. L'organizzazione di eventi di marketing virtuale (ci si trova sul Web invece che in Fiera o in una sala congressi) può essere potenzialmente meno efficace, dato che il faccia a faccia ha sempre la sua importanza, ma permette di mantenere contatti utili con costi decisamente inferiori.

Questo approccio non comporta assolutamente fare attività raffazzonate, "piuttosto che non far niente meglio piuttosto". Tutto il contrario. Significa fare più attenzione a cosa chiedono le persone, pensare a iniziative innovative nella loro semplicità e massimizzare così i profitti. Un esempio: i ragazzini preferiscono andarsi a guardare su YouTube filmati di Guerre Stellari fatti in casa da loro coetanei, con mantelli neri e pentole in testa, piuttosto che prendere il DVD originale ad alta definizione. Sono più facili da vedere, più innovativi, più divertenti. Un esempio più adulto? Google SketchUp è un softwate di rendering molto più semplice, intuitivo e, soprattutto, economico di AutoCAD e molti architetti e ingegneri l'hanno già adottato. Qualcuno davvero pensa che gli edifici saranno meno solidi e sicuri? Semplicemente, no.